Siamo negli anni dell’immediato dopoguerra. A Ponte Chiasso il cinema “Italia” aiuta a dimenticare la tragedia della guerra, regala sogni, anche i più arditi. Due film, uno di guerra e l’altro d’amore, oppure da ridere. I cartelloni con le pellicole in programma sono esposti nella piazza XXIV Maggio, di fianco alla fermata della filovia. Dalla fila nel serpentone di ferro che disciplina la salita sulle vetture della Stecav si ammirano la provocante Marilyn ne “Giungla d’asfalto”, James Stewart nello sconsigliatissimo “L’amante indiana”, per via di quel sostantivo innominabile, l’innocente “Francis il mulo parlante”, l’irresistibile Totò in “47 morto che parla” , Gianni e Pinotto, garanzia di fragorose e contagiose risate, la tenebrosa Silvana Mangano con Gassman nell’inquietante e drammatico “Riso amaro”. Il biglietto ai secondi posti, proprio sotto lo schermo, costa centocinque lire. Mio papà, ogni domenica, mi dà cinquanta lire, ma per fortuna mia mamma integra ogni volta la mancia.
Ma non di solo cinema si vive a Ponte Chiasso. Ogni estate arriva il teatro, il teatro ambulante. Ha grande successo il “Fiacca”. La sua compagnia teatrale monta la tenda in un piazzale lungo via Brogeda. Ponte Chiasso è per il Fiacca la prima tappa di una lunga tournée che porterà il suo spettacolo a Maslianico, Monte Olimpino e perfino in Brianza. Il Fiacca arriva su un carretto trainato da un asinello con la moglie e la figlia quattordicenne.
Il palco è un’arena circolare delimitata da alcune file di sedie per gli spettatori. Lo spettacolo è un pirotecnico susseguirsi di battute e di gag da parte dell’unico attore che è il Fiacca stesso coadiuvato dalla moglie che gli fa da spalla. La parte ginnico- artistica dello spettacolo è invece a carico della figlia. Il Fiacca recita, racconta barzellette, fa il clown. La figlia, una bella ragazzina con lunghi capelli neri raccolti in una treccia, si esibisce in contorsioni, acrobazie, salti mortali, piroette e capriole. Cavalca con maestria l’asinello che obbedisce docilmente ad ogni suo cenno. La sua esibizione riscuote convinti e caldi applausi degli spettatori, specialmente nei ragazzi che ne ammirano le belle gambe e il sorriso ammiccante.
Il clou della serata è al termine dello spettacolo. La moglie del Fiacca e la figlia cavallerizza, acrobata e ginnasta, girano tra gli spettatori con un cappello in mano nel quale raccolgono la giusta e meritata ricompensa per lo spettacolo offerto. Lui, il Fiacca, intanto, intrattiene il pubblico con i suoi monologhi poco raffinati, anzi piuttosto grassi, di bocca buona, ma che suscitano ilarità. A un certo punto, rivolgendosi all’asinello, lo invita solennemente a fare il giro dell’arena e a fermarsi davanti ad una spettatrice “senza mutande”. Puntualmente, l’asinello fa un paio di giri e poi, ben ammaestrato, si ferma davanti a una signora del pubblico… Scoppiano gli applausi e le risate anche della malcapitata davanti alla quale l’asino si è fermato. A questo punto lo spettacolo è davvero finito e il Fiacca sorridendo serafico invita tutti a cena: «Ognuno a casa sua!».
Ma a Ponte Chiasso non vanno in scena solo spettacoli circensi di puro divertimento popolare. Un’estate arriva il “Carro di Tespi”, un vero e proprio teatro ambulante, che la tradizione fa risalire a Tespi, un drammaturgo greco che, secondo Orazio, girava l’Attica con un carro su cui montava il palco. Dove arrivava inscenava commedie e tragedie dando origine a una nuova forma di teatro che andava a cercare il pubblico nelle piazze: un palcoscenico improvvisato sormontato da un telone, gli spettatori seduti su lunghe e traballanti panche di legno sistemate sul prato. E così, una sera, mi ritrovo a teatro tra mia mamma e l’Angioletta, una vicina di casa, ad assistere a “La fiaccola sotto il moggio”, una tragedia a tinte fosche di Gabriele D’Annunzio. Ricordo gli occhi arrossati di mia mamma e dell’Angioletta e i loro applausi convinti ai bravissimi attori. Da parte mia, devo confessare di avere molto apprezzato soprattutto la farsa che concludeva la serata. Alcune sere dopo dovetti sorbirmi anche “Le due orfanelle”, un polpettone strappalacrime. Sorrido e mi commuovo ricordando le lacrime di mia mamma e dell’Angioletta, e anche di moltissimi spettatori, di fronte al dramma di quelle due sfortunate orfanelle a cui ne capitavano di tutti i colori. Io, sempre allergico ai drammi e alle lacrime, anche quella volta mi divertii con la solita farsa finale.
Renzo Romano