Il latino, da lingua morta e mistica, torna all’attacco.
Avevamo già visto Harry Potter e i fumetti di Asterix nella lingua di Cesare… ma ora c’è di più.
La nuova «Pontificia Academia Latinitatis», su desiderio di papa Ratzinger, si occupa di tradurre in latino parole moderne. Lo scopo è quello di promuovere la lingua anche oltre i confini vaticani.
Così ora hanno una loro traduzione parole come: flirt (amor levis) , hot pants (brevíssimae bracae femíneae), minigonna (tunícula mínima) o night club (taberna nocturna), termini che difficilmente potrebbero essere usate in un’enciclica. Ma sarebbe bigotto pensare che in Vaticano non si parli che di sacre scritture. Trascorrendo questo lessico, si scoprono termini curiosi e altri decisamente buffi. Mi piacerebbe vedere gli studiosi di quest’accademia all’opera: alcune perifrasi richiedono molta creatività. E poi chissà con che criterio scelgono di tradurre una parola invece di un’altra.
Conoscendo le origini del papa, non stupisce che ci sia la parola wurstel (botellus) però poi spiccano: soubrette (praecípua scáenica actrix), sangría (pótio mixta Hispánica) o alpenstock (montanus báculus) ma non ho visto la traduzione di papamobile. C’è anche una piccola chicca per gli amici svizzeri: Groviera nel lessico latino del Vaticano diventa (cáseus foratus Helvéticus). Non sono un latinista, ma credo di conoscere bene i formaggi: il Gruyère non ha i buchi! I buchi stanno nell’Emmentaler!
Mese: Settembre 2012
Nutrita di partecipanti anche quest’anno la cerimonia presso la Harvard University, Cambridge, Massachusetts, per la consegna dei premi Ig Nobel per le ricerche più improbabili degli ultimi dodici mesi. Ecco i vincitori:
Per la psicologia, Anita Eerland e Rolf Zwaan (Paesi Bassi) e Tulio Guadalupe (Perù, Russia e Paesi Bassi) per il loro studio “Piegandosi a sinistra la Torre Eiffel sembra più piccola”.
Lo studio dei giapponesi Kazutaka Kurihara e Koji Tsukada ha invece richiesto un riconoscimento ad hoc, il Premio per l’acustica. Il loro impegno professionale è infatti stato dedicato allo sviluppo dello SpeechJammer, una macchina in grado di disturbare i discorsi di una persona, facendole udire le parole pronunciate con un leggero ritardo.
Si sono meritati il premio per le neuroscienze Craig Bennett, Abigail Baird, Michael Miller, e George Wolford (Stati Uniti) per aver dimostrato che i neuroscienziati, utilizzando complessi strumenti e semplici calcoli statistici, possono rilevare una significativa attività cerebrale ovunque, anche in un salmone morto.
Per la letteratura, ha sbaragliato la concorrenza lo US Government General Accountability Office, l’ufficio investigativo del governo degli Stati Uniti che si occupa in particolare di revisione delle spese pubbliche. Nel maggio del 2012, l’ufficio ha pubblicato un Rapporto sui rapporti che raccomandano la preparazione di un rapporto sul rapporto sui rapporti sui rapporti.
Il premio per la pace è stato vinto da un’interessante tecnologia della società russa SKN Company, che consentirebbe – il condizionale è d’obbligo – di convertire in diamanti le vecchie munizioni in disuso.
Il riconoscimento per la chimica è andato a Johan Pettersson (Svezia e Rwanda) per aver risolto un fitto mistero: perché, in alcune abitazioni della città svedese di Anderslöv, i capelli delle persone diventano verdi.
E per restare in tema di pettinature, chi porta i capelli a coda di cavallo invece d’ora in poi potrà farlo con più consapevolezza, grazie alle ricerche di Raymond Goldstein (Stati Uniti e Regno Unito), Patrick Warren e Robin Ball (Regno Unito) e di Joseph Keller (Stati Uniti) che hanno calcolato l’equilibrio di forze che determinano il movimento di un capello in chi porta questa specifica acconciatura, aggiudicandosi il premio per la fisica.
C’è stato anche un premio per la fluidodinamica: a Rouslan Krechetnikov [Stati Uniti d’America, Russia, Canada] e Hans Mayer [USA] per lo studio della dinamica di scuotimento dei liquidi, e in particolare per capire ciò che accade quando una persona cammina mentre porta una tazza di caffè.
Il premio per l’anatomia è andato a Frans de Waal (Paesi Bassi e Stati Uniti) e Jennifer Pokorny (USA) per la scoperta che gli scimpanzé possono riconoscere altri scimpanzé dalla fotografia del loro posteriore.
Mentre il premio per la medicina è stato assegnato a Emmanuel Ben-Soussan e Michel Antonietti (Francia) per i suggerimenti ai medici che eseguono colonscopie su come ridurre al minimo il rischio che i loro pazienti esplodano.
Il tabloid elvetico Blick am Abend punta il dito contro Cupertino e il suo iPad. L’orologio del nuovo iOS 6 su iPad è praticamente identico a quello che campeggia nelle stazioni ferroviarie svizzere.
Gli orologi svizzeri sono sinonimo di precisione e di qualità e di questo gli elvetici ne vanno a buon diritto orgogliosamente fieri. Le Ferrovie Federali Svizzere FFS, o meglio, lo Schweizerische Centralbahn (SCB) lamenta che l’aspetto grafico del nuovo orologio di grande formato visibile sull’iPad con l’aggiornamento a iOS 6 ricorda un po’ troppo il tradizionale orologio impiegato nelle stazioni ferroviarie elvetiche dal 1940, progettato dall’ingegnere svizzero Hans Hilfiker e impiegato delle ferrovie federali d’Oltralpe.
Le ferrovie elvetiche detengono i diritti sul design in questione e potrebbero dunque fare causa ad Apple, almeno stando a quanto riporta la stampa locale. Il design degli orologi visibili nelle stazioni svizzere, elegante e sobrio, ha ispirato da tempo altre aziende e sul mercato si trovano orologi da polso che richiamano quello di Hilfiker.
L’Agenzia Telegrafica Svizzera fa notare che la caratteristica principale dell’orologio è la lancetta rossa, introdotta nel 1955, con il cerchietto all’estremità come le palette dei capostazione. «È uguale fin nei minimi dettagli», ha accusato il portavoce delle Ferrovie federali, Christian Ginsig, ammettendo che da un certo punto di vista il plagio ha pure aspetti gratificanti: «Dimostra una volta di più che si tratta di un oggetto di design».
Le ferrovie svizzere sono intenzionate a ottenere un equo risarcimento dalla casa di Cupertino. Dal quartier generale di Apple, al momento, non arrivano commenti.
Anche oggi che le pulizie si fanno quotidianamente, con l’arrivo della primavera si spalancano volentieri le finestre al primo sole. Lo zefiro d’aprile, con quel soffio fresco e frizzantino, entra purificatore nelle stanze a fugar l’aria che sa di chiuso. Una bella rinfrescata alla casa ci sta proprio bene. Un tempo, poi!
La consuetudine delle pulizie per l’Acqua Santa fu un sano dettato della Chiesa, madre e maestra, che con l’occasione della benedizione pasquale spronava la gente a togliersi di dosso e dalle case il sudicio accumulato nei mesi invernali. Una salutare lezione d’igiene.
Solo il “canto del foco” aveva erogato un po’ di calore, oltre a cenere, fuliggine e nero fumo. La gente per ripararsi dal freddo indossava tanti cenci e “sanrocchini”, che venivano lavati raramente. Igiene personale pochina pochina. C’era davvero bisogno di una energica “spollinatura”.
Dice un proverbio: “l’olivo benedetto vuol trovare pulito e netto”. E allora, prima che passi il prete, via con le pulizie.
A San Polo, ma credo dappertutto, le pulizie pasquali erano uno spettacolo. Le donne sembravano morse dalla tarantola. Le case sottosopra. Si ribattevano materassi, si imbiancava “il guscio”, si facevano bucati con cenere, soda e liscivia e si sciacquavano ai tonfani dei borri e dell’Ema. Si buttavano fuori di casa sedie, piattaie e cappellinai. Si staccavano le grandi foto incorniciate dei familiari defunti, onorati sulle pareti del salotto. Si toglieva dalla piluzza dell’acqua santa a capo del letto il rametto d’ulivo benedetto dell’anno prima, ormai secco, strinato e polveroso, che veniva devotamente bruciato.
Con le teste fasciate da grandi pezzole le massaie, armate di granatoni di scopa e saggina, strigliavano i muri e i travicelli, per cacciare polvere e ragnatele. Non Tot, Mastrolindo o Vim, ma secchiate d’acqua e sugo di gomiti a lavare suppellettili, stanze e scale. Si lustravano utensili e pentole in rame e mezzine con sale e aceto, si pulivano lumi, scartocci e vasi da notte con rena di fiume o pomice. I mattoni arrossivano di “cinabrese”. Le vetrine, svuotate da tazze, chicchere e bicchieri, si ornavano di pendenti centrini di carta colorata e traforata a mo’ di ricamo e si ripopolavano delle povere ma luccicanti porcellane. I tiranti dei lumi appesi al soffitto si abbellivano di fiocchi, fiori e sbuffi di carta velina arricciata. Si staccavano dai cardini anche porte e finestre, per lavarle al fiume o alla fonte. Con carta di giornale, quando c’era, si spannavano i vetri. Anche gli uomini, recalcitranti, venivano coinvolti in qualche faccenda pesante e allora il prete e l’acqua santa ricevevano particolari benedizioni. Poi, sul marciapiedi e sull’aia, ancora scrosci d’acqua in un rigenerante lavaggio quasi sacrale.
Ecco, ora tutto è a posto. Si stende sul letto la coperta di picchè e trina, quella del corredo, che sarà religiosamente riposta dopo Pasqua. Al braccio del lavamano si spiega l’asciugamano più bello con la scritta “Buongiorno” ricamata in rosso. Una rapida rivista generale. Si nasconde qualche straccio rimasto randagio per la casa. Un’occhiata soddisfatta alle modeste, brillanti stanzette. Ora tocca alle donne e ai figli lavarsi… in catinella. I ragazzi usciranno dalle mani delle madri rossi in viso e strigliati a dovere. Si indossano i vestiti puliti e ci si dispone ad aspettare sull’uscio l’arrivo del sor priore. Finalmente due chiacchiere e un po’ di relax.
Non per tutti però… A Ciocca, in fondo al paese, abitava una donna con la sua famiglia, “la Schizza”. Lei, chissà perché, ogni anno si riduceva a fare le pulizie quando le sue vicine avevano praticamente finito. Allora era una corsa, un affanno, per dare alle due stanzucchie una parvenza di pulito. L’impresa era ardua, il tempo poco e la “Schizza” correva agitata a metter fuori seggiole, piattaie e scaffalini. Ma già le campane annunciavano l’uscita del priore e dei chierichetti dalla canonica. La “Schizza” sgambettava e imprecava girando come una trottola impazzita, mentre le vicine ridevano al ripetersi annuale di quella scena che pareva un film di Ridolini. Qualcuna si risentiva stizzita, ma poi, prese da compassione, davano una mano per levare dall’impiccio la povera donna. Quando il priore entrava in casa della “Schizza” il pavimento era ancora molle ma lei si stava spianando le pieghe del vestito pulito appena indossato.
Bene o male anche per quest’anno era fatta. Tanto c’è un altro proverbio che dice: “Il pretino della cura benedice ragni e spazzatura”.
E poi…torna l’inverno!
Miriam Serni Casalini