ANDAA’ DE SFRUUS…(la ramina)

Il confine tra l’Italia e la confederazione elvetica si sviluppa lungo dorsali alpine che da sole bastano a rendere impervio il passaggio da un paese all’altro. Ma, in alcuni tratti, i sentieri lo attraversano piuttosto agevolmente.
E proprio in corrispondenza di queste zone di frontiera, per contrastare il contrabbando, la rete viene studiata, preparata e collocata lungo la linea di confine. Fornita di campanelli, aveva lo scopo di impedire e segnalare il passaggio non solo delle persone ma, soprattutto, dei cani.
Si, dei cani contrabbandieri che intorno al 1881 (per le severe norme doganali vigenti era previsto per il contrabbando, in quegli anni, anche il confino) cominciarono ad essere impiegati per portare merce contenuta in una bastina fissata intorno al loro corpo (dai 5 ai 10 chilogrammi di merce per volta). Erano animali allevati nel comasco che una volta portati in Svizzera, e lasciati senza cibo, tornavano istintivamente a casa attraversando, per l’appunto, la frontiera. Dai documenti della regia Guardia di Finanza di Como, del 1892, sappiamo che in una notte potevano sconfinare anche cento cani, addestrati perfino ad evitare i finanzieri.
Ecco, allora, la rete chiamata fiscale o di stato, che non segnava il confine dovendo trovare collocazione sul territorio italiano.
Il primo tratto, a cominciare dal 1894, fu steso tra Rodero e Bizzarone. E da quel momento nacquero diversi problemi tra i proprietari dei terreni dove la rete veniva via via stesa, anche perché nelle vicinanze furono edificate altre opere come, per esempio, una gradinata – da Ponte Chiasso a Cavallasca – rimasta nella memoria delle fiamme gialle, che durante i loro turni “sotto rete” hanno contato, chissà quante volte, uno per uno, tutti i 667 scalini per circa 300 metri di altezza. La “scala del paradiso” – così fu chiamata – diventò uno dei luoghi più ricordati tra i finanzieri. Non solo problemi con i proprietari dei terreni. Anche con le comunità locali, come per esempio quella di Rovenna (sopra Cernobbio) che chiese, ed ottenne, alcune aperture diurne e notturne, le prime per contadini e pastori, le seconde per consentire lo svolgimento delle feste religiose al santuario del monte Bisbino. Lungo la rete di stato, nelle zone tra questa e il confine segnato dai cippi all’interno del territorio nazionale, quante storie in tutto il XX secolo…
Tornando ai cani, il 1° settembre 1894, nei pressi di Uggiate Trevano, i finanziari ne catturarono uno con un carico di circa 5 chilogrammi di tabacco e sigari (all’epoca non erano ancora comparse le sigarette). Fu arrestata la proprietaria che però venne assolta per insufficienza di prove, perché non si riuscì a dimostrare, al processo, l‘effettiva proprietà dell’animale.
Il 10 aprile 1890, sempre nella zona di Uggiate, un finanziere che aveva abbandonato il reparto scappando in Svizzera, venne sorpreso alla testa di una banda di contrabbandieri mentre sabotava il sistema d’allarme della rete. Addosso aveva una lettera con la quale un altro finanziere – in servizio – gli prometteva il “passo” in frontiera.
E in prossimità della rete, ovviamente al di là della frontiera, i doganieri elvetici registravano le bricolle in uscita percependo i diritti all’esportazione. In particolare, quella chiamata “esportazione 2”, che permetteva alla Svizzera la libera esportazione all’estero dei tabacchi lavorati. Quindi, in Italia.
La “ramina”, come viene chiamata in dialetto ticinese, fece cessare l’uso dei cani ma non l’attività dei contrabbandieri che, aprendo dei varchi nelle maglie metalliche, prima facevano passare le bricolle poi passavano loro.
Lungo la rete, il 20 febbraio 1923, nei pressi del monte Bisbino, durante uno scontro tra guardie di finanza e contrabbandieri rimase ferito un
finanziere. Ad aprile, all’Alpe del Bonello, in uno scontro tra Finanzieri e una colonna di circa quaranta spalloni un contrabbandiere rimaneva ucciso.
La rete, essendo in ogni caso un impedimento, ritardava la marcia dei contrabbandieri i quali, per non lasciare tracce dei loro passaggi, dopo aver aperto i varchi erano costretti a richiuderli.
E, addirittura, la mancanza della rete fiscale fu addotta a scusante di uno sconfinamento dei finanzieri in territorio elvetico (a detta degli svizzeri) nella stessa notte in cui un contrabbandiere di Colonno – Domenico Gerletti – fu ucciso al confine nei pressi di Pellio d’Intelvi. Era il 3 dicembre 1954 e questa morte fu commentata sulla stampa locale dal Senatore Lorenzo Spallino, di Como, che esortò i suoi colleghi parlamentari a pervenire, in tempi rapidi, all’approvazione del disegno di legge sull’uso delle armi. La “siepe metallica” (con questo termine era indicata nei documenti dei reparti della Guardia di Finanza relativi ai preventivi per acquistare i materiali necessari alla sua costruzione) venne posta in opera, nei primi anni del ‘900, a cura degli stessi militari, anche lungo il confine tra Ponte Chiasso e il Bisbino, la Valle d’Intelvi, Valsolda, Val Cavargna e Val Rezzo oltre che lungo la frontiera varesina.
Prima che iniziasse il XX secolo, tra Varese, Luino e Como, erano stati già realizzati oltre 30 chilometri di rete. La lunghezza complessiva, alla fine dei lavori, negli anni della 6^ legione che fu istituita nel 1945, risultò pari ad oltre 72 chilometri lungo un confine che si estende complessivamente per 521 chilometri, dal cippo di confine di Zenna (Varese) a quello del Passo dello Stelvio.
Per evitare lo sfondamento della rete con gli automezzi – nel frattempo il contrabbando aveva avuto una evoluzione, dagli spalloni che a piedi passavano la frontiera, agli automezzi come mezzo di trasporto e di fuga – negli anni ’60 fu iniziata la costruzione di una palizzata di cemento armato ma, per fortuna, non se fece nulla poiché il contrabbando di sigarette finì nei primi anni ’70 per le cause che abbiamo già visto.
Il passaggio della rete non fu solo da parte dei contrabbandieri ma anche dei prigionieri di guerra che – dopo l’8 settembre del ‘43 – furono aiutati a fuggire in Svizzera.
Fra i percorsi seguiti ci fu quello della Bocchetta Stabiello, dopo il Pizzo di Gino, per raggiungere il primo paese in territorio elvetico, Carena. E così la “via del tabacco” diventò la via per salvare tante di queste persone. Forse 800 ne arrivarono a Carena. Assieme a loro anche tanti militari italiani che scappavano non avendo scelto di fare la guerra con le insegne della appena nata Repubblica di Salò. Ma non avendo scelto anche di lottarci contro, né tra i partigiani né con il Governo Badoglio, schierato con gli eserciti alleati che stavano risalendo la penisola.
Lungo i varchi della rete, promulgate le leggi razziali, sono stati contrabbandate pure le persone, gli ebrei.
Non tutti li hanno aiutati per denaro: alcuni contrabbandieri non hanno voluto soldi. Altri uomini, di un genere diverso, sono stati uccisi per averlo fatto: è il caso del finanziere Salvatore Corrias fucilato – dalle Brigate Nere al Bugone – nel gennaio del 1945.
La rete non ha evitato l’ingresso in Svizzera dei clandestini, altro gravissimo fenomeno iniziato sul finire degli anni ’70, e, fino agli attuali anni, presente sul confine. Stavolta, non si chiamano contrabbandieri ma “passatori” che accompagnano, pagati, alla frontiera gli “stranieri” pronti, se scoperti dalle Forze di polizia, a mollare, questa volta, non il sacco ma le persone, trattate, così, come merce di contrabbando.
Un ricordo per non dimenticare la tragedia dei migranti: al Passo Spluga sotto una bufera di neve, nell’ottobre del 1988, un bambino turco di sette anni morì tra le braccia del padre.
La rete è rimasta al suo posto fino ai giorni nostri. Senza denaro per farne la manutenzione. In ogni caso – seppur ci fosse stato – non sarebbe stato certamente speso per un manufatto diventato inutile. Inutile per le maniere diverse con le quali i criminali effettuano, da anni, i traffici illeciti attraverso più stati (dalla droga alle merci contraffatte e alle stesse sigarette) utilizzando loro questa volta, tra i diversi sistemi organizzativi, una rete però diversa: quella mondiale chiamata internet. Di quella metallica se ne è riparlato agli inizi del XXI secolo per esaminare come, eventualmente, rimuoverla (quella rimasta in piedi, ancora visibile, tenuto conto che in diverse zone del terreno la folta vegetazione la nasconde anche alla vista di coloro che ne conoscono l’esatta ubicazione).
Intanto gli alpini della Sezione di Maslianico hanno avuto la lodevole iniziativa di mettersi al lavoro per recuperare i vecchi sentieri lungo il confine e lungo la rete mentre l’ente turistico di Mendrisio ha inserito – nel pacchetto delle escursioni – anche quelle lungo la rete italiana

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