IL SOGNO AMERICANO

Chi indossa jeans e t-shirt, ascolta R & B, chi fissa un puntello e poi ordina una pizza XXL, non è ancora per questo un Americano.
Ma ai nostri giorni non si può fare astrazione dello stile di vita Usa e dell’inglese.
Questa non è una novità né una cosa grave: nell’antichità i Greci e i Romani dettavano la moda in tutto il bacino mediterraneo. Il latino è stato a lungo la lingua della Chiesa e della scienza. Il fasto di Versaille del re sole era il modello della società di corte del XVIII secolo e raggiunse addirittura San Pietroburgo.
Con internet e con la globalizzazione dell’economia, l’influsso angloamericano si è rafforzato sulla nostra lingua e sul nostro stile di vita. Nel linguaggio pubblicitario, le competenze e le conoscenze si sono così presto trasformate in skills. Hamburger e altre forme di fast food hanno fatto concorrenza ai classici panini e alle salsicce. Da parte mia ho sempre ammirato la caparbietà francese di imporre la lingua ai propri concittadini. In Francia, ad esempio, non puoi aprire un negozio ed esporre un’insegna solo in lingua straniera, cosa che in Italia è prassi (pensiamo alle insegne in lingua anglofona). Ma anche nel linguaggio comune. Se esiste un termine italiano per esprimere un concetto, perché utilizzare il corrispondente termine anglosassone? Lo vediamo in molte locuzioni, perlopiù derivate dal linguaggio del marketing: “target” invece di “obiettivo”, “Restaurant” invece di “Ristorante”…
L’inglese è lingua universale. “Fa figo” utilizzarla, come un tempo lo era il latino.
Forse è per questo che amo tanto esprimermi in “cumasch”?

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