Origini e tradizioni di un piatto intramontabile: LA POLENTA!

Gialla, morbida e fumante è rimasta a lungo l’unico sostegno di contadini e montanari soprattutto nell’Italia settentrionale, stiamo ovviamente parlando della Polenta!
Un piatto dalle radici antiche e dalle mille varianti e possibilità di espressione, la polenta è un piatto in grado di definire, immediatamente e senza mezzi termini, l’identità culturale e l’appartenenza territoriale del Nord Italia.
Ma dove inizia la golosa storia di questo antichissimo cibo?
In realtà, la polenta così come noi la conosciamo noi, è un prodotto relativamente recente nella storia gastronomica del nostro Paese. Quella gialla, preparata a partire da una mistura di acqua e farina di mais, è di fatto una pietanza che viene consumata regolarmente da poco più di 200 anni.
Secondo alcuni esperti, fin dai tempi dei babilonesi e degli assiri questo piatto, ovviamente in una variante diversa da quella odierna, era presente già sulle primissime tavole imbandite per pranzo o cena.
Il termine polenta deriva dal latino puls, una specie di polenta di farro (in latino far da cui deriva “farina”) che costituiva la base della dieta delle antiche popolazioni italiche.
Nell’antica Roma era un cibo tanto comune che diede ai romani il nome di “pultiferi” ossia mangiatori di polenta. Al tempo si trattava di un impasto a base di macinatura di farro cotto in acqua e sale, servito con un contorno di ceci, pesciolini sotto sale, frutta, formaggi, verdure cotte e a volte carne. Ancora oggi in Puglia si trova una polenta simile a base di fave secche con la quale si accompagnano verdure cotte come la cicoria.
Sui libri di storia romana si trovano le ricette di Plinio e Apicio, quelle con polenta di castagne, di miglio o di spelta. I legionari romani, si racconta, portavano con sé un sacchetto di farina di farro che cucinavano sotto forma di polenta.
Seneca, nel 75 d.C., criticando la sregolatezza dei costumi dei suoi contemporanei, invocava la parsimonia del tempo in cui i latini si nutrivano soprattutto di puls. scrivendo: “Pulte, non pane, vixisse longo tempore Romanos manifestum“, ossia: è evidente che di polta e non di pane vissero per lungo tempo i romani. Ma non fu solo farro o grano ma segale, orzo, miglio e, lungo la catena alpina, grano saraceno. Le citazioni si sprecano da un capo all’altro della penisola: un ricettario lucchese dell’VIII secolo cita una pulmenta di fave, mentre pane e frascatula (una sorta di polenta a base di farina, grano e acqua) alimentò i messinesi stretti dall’assedio angioino del 1282. Diversi ricettari citano inoltre pulmente a base di avena, orzo o miglio prescritte ai malati. Con la scoperta dell’America, però, da questa parte del mondo sono arrivati con prepotenza nuovi alimenti come il mais, e la storia della polenta ha preso un’altra strada. Dopo le scoperte colombiane, infatti, la coltura del mais dilaga velocemente in Europa e nel nord Italia: già nel 1570 l’Opera di Bartolomeo Scappi cita un “formentone” (il termine granturco arriverà nei secoli successivi) disponibile in grande quantità in Lombardia, e dà una prima ricetta di una “polenta concia” cotta “in latte di vacca o capra con butiro”. La diffusione altolombarda del cereale è contestuale a quella veneta: va infatti ricordato che i confini della Serenissima in quel periodo giungevano a includere la Bergamasca.

Sin da subito, la polenta, andò ad occupare un posto di rilievo nella cucina locale. Dopo aver incuriosito i raffinati palati dei signori dell’epoca, la polenta fu presto bandita e divenne il cibo della dieta delle classi meno abbienti. All’inizio dell’Ottocento, periodo di guerre e carestie, fu il piatto più consumato dai contadini, spesso del tutto scondito, perché costava meno del pane e riempiva la pancia. Ma era un cibo povero carente di principi nutritivi, soprattutto di vitamine e fu la causa del diffondersi della pellagra, che divenne in breve una piaga sociale. La malattia non era conosciuta dagli indigeni d’America perchè usavano trattare il cereale con sostanze alcaline.

La domanda che sorge spontanea dopo questa storia è: come è possibile che un piatto che è sempre stato legato alla fame, un cibo povero per definizione, sia diventato una pietanza della festa? È una faccenda che riguarda la tavola come tradizione. Il gusto della polenta come cibo semplice, depositario di un sapere antico è collegato ai valori del nostro passato e al ricordo, di potersi riempire facilmente la pancia. Non a caso lo Zanni (maschera bergamasca) della Commedia dell’Arte, imprigionato dai morsi della fame, immagina di prepararsi un pantagruelico pasto a base (unica) di polenta. E tanto gli basta ad essere felice.

Oggi, per molti, il colore della polenta è il giallo ma non è ovunque così… in Valtellina, in Alto Lario e nell’Alta Bergamasca è molto diffusa la polenta taragna, che prevede l’uso della farina di mais insieme a quella di grano saraceno. Negli alpeggi è ancora cotta a legna, nel tradizionale paiolo di rame, arricchita con burro e formaggio: addirittura il Manzoni la cita nei Promessi Sposi, cogliendo Tonio a preparare “una piccola polenta bigia, di gran seraceno” nella sua casa del borgo lecchese. In Valtellina è presente anche la più rara, ipernutriente polenta cropa, preparata con la panna in cottura, formaggio e patate, e sempre con panna e Casera e sola farina di saraceno si prepara la polenta ‘n fiur, dal caratteristico colore nero. Già nel Seicento, invece, si consuma in Veneto la polenta bianca preparata con farina di sorgoturco bianco, oggi sostituita dalla varietà di mais biancoperla.
L’accompagnamento del formaggio con la polenta sopravvive dall’età latina, ma diventa caratteristico lungo l’arco alpino. In particolare, tra la Val d’Aosta e la Valtellina è diffusa la polenta preparata con abbondante burro e formaggio: un piatto più che sostanzioso, presente nella dieta quotidiana degli alpigiani per garantire la forza necessaria ad affrontare il rigido clima alpino. Scendendo in pianura, tra il Milanese e il Novarese è invece d’uso accompagnare la polenta con una fetta di Gorgonzola in fusione. Impossibile poi tracciare in poche righe un quadro completo degli abbinamenti con la polenta: è però utile soffermarsi sulle consistenze, estremamente eterogenee. Morbida da tagliare a filo (o servire a cucchiaio), fritta o grigliata. Particolare è il toc di Bellagio, una polenta solida cotta aggiungendo burro e formaggio che si mangia con le mani in una specie di rito conviviale.
La polenta inoltre è un elemento che ben si presta a ricette di recupero: nella tradizione contadina, era d’uso far rinvenire la polenta nel latte, consumando questo piatto soprattutto alla sera.

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