Mese: Settembre 2019

PERSONAGGI IN DIALETTO…O…P…Q…R…S…(seconda serie)

ÖREVAS

E’ abbastanza chiaro che si parla dell’orefice, chi lavora l’oro per farne gioielli, anche se noi chiamiamo a volte con questo nome anche l’argentiere cioè chi lavora i soli vasellami o simili d’argento. In gergo, una volta, era la persona che con la pala raccoglieva per le vie la spazzatura e il letame.

PASQUIRŒU

Colui che stando fermo alla stretta osservanza del precetto, si confessa e si comunica una sola volta all’anno, cioè alla Pasqua e anche il piu tardi possibile. I napoletani chiamano un cosiffatto rigorista Annicchio.

QUONIAM

Voce latina usata da noi nella seguente frase: Fa el quoniam. Far lo gnorri, l’ indiano, ecc. avec un fa’ de cojon.

RUSTEGUN

Zoticone, di natura ruvida e rozza, scortese, strano, stravagante, intrattabile, non gentile: si rimane esterefatti nel constatare quanti sinonimi racchiuda in sè un semplice termine dialettale.

SANTIFICETUR

Dicesi di una personcina che ha apparenza di buona e di santa; cosi chiamasi una specie di bacchettone, ed è specialmente colui che sa meglio degli altri suoi pari simulare il candore dell’animo, perchè sa assumere modi semplici e aperti, sempre per altro conditi di una certa onesta ritenutezza e devozione e parla con un amabile sottovoce pieno di orazione e di affetto.

SACERDOTI…IL FUTURO?

Visto che nella nostra comunità il tema SACERDOTI è di strettissima attualità, vi propongo di andare a leggervi un recentissimo articolo, che potrete trovare in forma integrale QUI, e del quale ho tradotto alcuni periodi…

I sacerdoti robot possono benedirti, consigliarti e persino eseguire il tuo funerale.
La religione dell’Intelligenza Artificiale è alle porte. Benvenuti nel futuro.
di Sigal Samuel, 9 settembre 2019

Un nuovo sacerdote di nome Mindar vi aspetta a Kodaiji, un tempio buddista vecchio di 400 anni a Kyoto, in Giappone. Come altri membri del clero, questo sacerdote può tenere prediche e muoversi per interfacciarsi con gli adoratori. Ma Mindar ha alcuni… tratti insoliti. Un corpo in alluminio e silicone, tanto per cominciare.

Mindar è un robot…

Progettata per assomigliare a Kannon, la divinità buddista della misericordia, la macchina da 1 milione di dollari è un tentativo di riaccendere la passione delle persone per la loro fede in un paese in cui l’affiliazione religiosa è in declino.
Per ora, Mindar non è basato sull’intelligenza artificiale. Recita ancora e ancora lo stesso sermone preprogrammato sul Sutra del cuore. Ma i creatori del robot affermano di avere in programma di offrirgli capacità di apprendimento automatico che gli consentiranno di personalizzare il feedback (termine equivalente all’italiano retroazione, che designa il processo per cui l’effetto risultante dall’azione di un sistema si riflette sul sistema stesso per variarne o correggerne opportunamente il funzionamento – N.d.R) in relazione ai problemi spirituali ed etici specifici degli adoratori. “Questo robot non morirà mai, continuerà ad aggiornarsi e ad evolversi”, ha affermato Tensho Goto, capo amministratore del tempio. “Con l’IA, speriamo che cresca in saggezza per aiutare le persone a superare anche i problemi più difficili. Sta cambiando il buddismo”.

I robot stanno cambiando anche altre religioni.

Nel 2017, gli indiani hanno lanciato un robot che esegue il rituale Hindu aarti. Nello stesso anno, in onore del 500° anniversario della Riforma protestante, la Chiesa protestante tedesca ha creato un robot chiamato BlessU-2. Ha dato benedizioni preprogrammate a oltre 10.000 persone.
Poi c’è SanTO – abbreviazione di Sancfied Theomorphic Operator – un robot alto 17 pollici che ricorda le immaginette dei santi cattolici. Se gli dici che sei preoccupato, risponderà qualcosa del tipo: “Dal Vangelo secondo Matteo: Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.”
Il robotico Gabriele Trovato ha progettato SanTO per offrire soccorso spirituale agli anziani la cui mobilità e relazioni sociali potrebbero essere limitati. Successivamente, vuole sviluppare dispositivi per i musulmani, anche se resta da vedere quale forma potrebbero assumere.

Secondo quanto riferito, i fedeli giapponesi che visitano Mindar non sono troppo infastiditi dalle domande sui rischi della siliconizzazione della spiritualità. Ciò ha senso, dato che i robot sono già così comuni nel paese, anche nel campo religioso. Da anni ormai, le persone che non possono permettersi di pagare un prete umano per eseguire un funerale hanno avuto la possibilità di pagare un robot di nome Pepper per farlo a un prezzo molto più economico. E in Cina, nel monastero Longquan di Pechino, un monaco androide di nome Xian’er recita mantra buddisti e offre una guida in materia di fede.
Gli occidentali sembrano più disturbati da Mindar, paragonandolo al mostro di Frankenstein. Nelle economie occidentali, non abbiamo ancora robot invischiati in molti aspetti della nostra vita. Ciò che abbiamo è una narrazione culturale pervasiva, rafforzata dai successi di Hollywood, sul nostro imminente asservimento per mano di “robot padroni”.

Nonostante evidenti differenze teologiche, è ironico che molti occidentali abbiano una reazione negativa istintiva a un robot come Mindar. Il sogno di creare una vita artificiale risale all’antica Grecia, e c’è una lunga tradizione di robot religiosi in Occidente. Nel Medioevo, i cristiani progettarono automi per eseguire i misteri di Pasqua e Natale. Un proto-robotico nel XVI secolo progettò un monaco meccanico che, incredibilmente, sta eseguendo gesti rituali ancora oggi. Con il braccio destro, colpisce il petto in un mea culpa; con la sua sinistra, solleva un rosario sulle labbra. In altre parole, la vera novità non è l’uso dei robot nel campo religioso ma l’uso dell’Intelligenza Artificiale. Pepper il robot può condurre riti funebri buddisti e per l’occasione indosserà persino abiti neri sacerdotali.
Chiaramente ci sono domande su come la robotica cambierà le nostre esperienze religiose. Tradizionalmente, queste esperienze sono preziose perché lasciano spazio a ciò che è spontaneo e sorprendente, emotivo e persino mistico. Ciò potrebbe andare perso se li meccanizziamo.
Un altro rischio ha a che fare con la gestione da parte di un prete di IA di domande etiche e processo decisionale. I robot, i cui algoritmi apprendono da dati precedenti, possono spingerci verso decisioni disparate.

Poniamo che dici a un robot che ti senti depresso perché sei disoccupato e al verde e l’unico lavoro che ti è disponibile sembra moralmente odioso. Forse il robot risponde recitando un versetto di Proverbi 14: “In ogni fatica c’è profitto, ma il chiacchierare procura la miseria.” Anche se non presume di interpretare il versetto per te, nella scelta di quel versetto sta già facendo lavoro interpretativo nascosto. Sta analizzando la tua situazione e determinando algoritmicamente una raccomandazione: in questo caso, quella che potrebbe spingerti ad accettare il lavoro. Ma forse avrebbe funzionato meglio per te se il robot avesse recitato un versetto di Proverbi 16: “Affida al Signore le tue opere, e i tuoi progetti avranno successo.” Forse quel versetto ti avrebbe spinto a tralasciare il lavoro moralmente dubbioso e, essendo un’anima sensibile, sarai più tardi felice di averlo fatto. O forse la tua depressione è abbastanza grave che il problema del lavoro è in qualche modo irrilevante e la cosa cruciale per te è cercare assistenza psicologica.

Un prete umano che conosce il tuo più ampio contesto nel suo insieme può raccogliere tutto questo e darti la giusta raccomandazione. Un prete androide potrebbe perdere le sfumature e rispondere al problema localizzato al momento in cui lo hai espresso.

…lascio a voi riflettere e meditare, ma mi permetto di dirvi: amiamo i Sacerdoti che il Signore ci dona e sosteniamoli nella loro missione senza tanti se nè tanti ma, e, soprattutto, senza tanti spettegolamenti e “mi piace” “non mi piace”, ma mettendoci tutto il nostro entusiasmo e la nostra voglia di costruire qualcosa di grande sotto la loro guida e al loro fianco.

NUOVA COMUNITA’ PASTORALE

In merito alla nuova realtà che sta nascendo desidero proporvi due riflessioni, una del nuovo Parroco e l’altra di un Laico, pubblicate nel giugno scorso sul periodico della Parrocchia di Sagnino “Il Colloquio n. 184”

ALLARGARE I CONFINI PER ALLARGARE I CUORI

La nuova comunità pastorale: pericolo o risorsa?

Lo scorso 25-26 maggio abbiamo dato annuncio telegrafico e sintetico, durante le SS. Messe, della costituzione della nuova comunità pastorale con queste parole:
Si costituisce la comunità pastorale delle parrocchie di Monte Olimpino, Sagnino, Ponte Chiasso. Il coordinatore sarà don Emanuele Corti. Don Emanuele Corti già parroco di Sagnino, è nominato parroco anche di Monteolimpino. Don Fabio Melucci è nominato vicario della comunità pastorale. Don Giorgio Molteni è nominato collaboratore della comunità pastorale. Don Marco Germagnoli è nominato collaboratore della comunità pastorale. Don Angelo Pavesi già parroco di Ponte Chiasso, è nominato anche collaboratore della comunità pastorale.
Per quanto riguarda la residenza dei sacerdoti: don Emanuele e don Giorgio abiteranno presso la casa parrocchiale di Monte Olimpino, don Fabio e don Marco abiteranno presso la casa parrocchiale di Sagnino, don Angelo abiterà presso la casa parrocchiale di Ponte Chiasso.

Provo ora a dare qualche spiegazione in più, attraverso le pagine del nostro Colloquio, dopo aver già proposto anche un tempo di confronto in Assemblea parrocchiale lo scorso 9 giugno. Una comunità pastorale è il tentativo di dare una NUOVA risposta pastorale al mutato contesto sociale e religioso, dove gli stretti confini parrocchiali non rispondono più alle esigenze di vita e allo spostamento delle persone; dove è finito il tempo della parrocchia autosufficiente. Come a dire: non è più come 20, 30 o 50 anni fa… qualcosa è cambiato nel legame sociale fra le persone e anche nel loro senso di appartenenza; qualcosa è cambiato nella frequentazione alla vita delle comunità parrocchiali; qualcosa è cambiato nelle famiglie; qualcosa è cambiato nel numero di preti disponibili… tutto questo “qualcosa che cambia” (e ho fatto solo alcuni esempi), comporta anche dei cambiamenti nelle proposte pastorali, nel rapporto fra parrocchie, nella condivisione delle risorse (spazi e persone… persino i preti!).

Quindi ora le nostre tre parrocchie di Monte Olimpino, Ponte Chiasso e Sagnino sono invitate a pensarsi in modo più ampio, non più ognuna per conto suo. Siamo chiamati ad uscire da una sorta di individualismo pastorale (ognuno pensa alla sua parrocchia), per provare ad allargare i confini per allargare i cuori. Capiamo che si realizzano anche per noi le parole di Papa Francesco, che nell’Evangelii Gaudium diceva: «La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità» (EG, 33). Quella della comunità pastorale, dunque, è una chiamata missionaria e non una “riorganizzazione aziendale”. La Scrittura ci insegna che di fronte alle chiamate si resta sempre perplessi, si è abitati dalle paure e dalle resistenze, si è tentati di rifiutare. Sempre la Scrittura ci istruisce, però, che ogni chiamata è un’occasione nuova per imparare a fidarsi di Dio e a riconoscere che Lui guida la Chiesa, che Lui abita la storia.

Diversamente da altri inizi di comunità pastorale (saremo la 90a che nasce in Diocesi!) non abbiamo di fronte, come in altre occasioni, un cambio generale dei preti. Quattro su cinque sono già presenti. Ne arriverà un quinto. I compiti sono descritti nel comunicato. Ma solo con il tempo e la pazienza di provare a crescere insieme riusciremo a stupirci di questa risorsa e a scongiurare ogni pericolo. Per quanto concerne la mia personale abitazione a Monte Olimpino, tanto chiacchierata, mi è parsa un’attenzione doverosa nei confronti di questa comunità sorella che già due anni fa ha dovuto fare a meno del vicario e ora vede andar via anche il parroco. Ci conosciamo, dopo 4 anni… e forse è meno difficile convincere voi di una mia presenza e attenzione nonostante lo spostamento della casa, che non convincere la comunità di Monteolimpino di una presenza e attenzione nonostante fossi a Sagnino. Inoltre credo fermamente che non posso chiedere a nessuno lo sforzo di rinnovarsi e cambiare, se il primo disponibile a farlo non sono io stesso. Non sarà diverso per nessuno degli altri confratelli, che pur abitando in una parrocchia sono a totale servizio dell’intera comunità pastorale. lo, come parroco, continuerò ad avere un punto di appoggio e riferimento nella casa parrocchiale di Sagnino: lo studio. Alcuni vedono tutto come oscuro e pericoloso. Mi verrebbe da ricordare le parole di S. Giovanni XXIII all’inizio del Concilio Vaticano II: “A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo” (11/10/1962).

don Emanuele

NUOVA COMUNITÀ PASTORALE: RIFLESSIONI DI UN LAICO

Corre veloce questa comunità, sembra ieri la comunicazione al Consiglio Pastorale Parrocchiale dello scorso dicembre ed ecco l’ufficialità con l’avviso del 26 maggio: “Si costituisce la Comunità pastorale delle parrocchie di Monte Olimpino, Sagnino, Ponte Chiasso.” In questi giorni ho avuto modo di confrontarmi con molti parrocchiani su questa novità, nelle chiaccherate informali e nelle sedi più istituzionali e un po’ mi diverte riconoscere le differenti tipiche figure che emergono in un processo di cambiamento, tra cui gli immancabili disfattisti e quelli pronti a lanciarsi a capofitto nella nuova avventura.

Come al solito c’è sempre una via di mezzo ma se dovessi scegliere mi colloco tra questi ultimi per tre ragioni. Il primo per i sacerdoti, credo siano loro il primo fattore di successo di una Parrocchia o di una Comunità e il fatto di avere quattro sacerdoti (e che sacerdoti) su cinque presenti già nel nostro territorio siano di per sé una garanzia. Il secondo perché questo cambiamento non mira a distruggere per ricostruire, ma per costruire qualcosa di più grande in maniera diversa sulle fondamenta di quanto già presente e sull’esperienza delle singole parrocchie (leggasi anche tradizioni). Il terzo perché il successo di questa esperienza passa dalle nostre mani, siamo noi che possiamo vincere o perdere. Possiamo decidere di non giocare la partita e accontentarci di dire “sapevo che sarebbe andata così!” oppure metterci tutto il nostro entusiasmo e la nostra voglia di costruire qualcosa di grande, rompendo i muri invisibili che circondano il nostro quartiere, pensando un po’ più al futuro e al mondo in cui si vivranno i figli dei nostri figli piuttosto che nei ricordi di quello che era, evitando di sentirci una comunità arrivata (grosso pericolo!) ma sprigionando il dinamismo e la passione che riconosciamo nel nostro DNA. Certo il cambiamento contiene incertezza che porta qualche paura, ma “L’incertezza è la condizione perfetta per incitare l’uomo a scoprire le proprie possibilità.” (Erich Fromm) lo ci sto e tu?

Marco Marini