NON SOLO ORO…INCENSO…E LUSTRINI!

Dopo questi giorni in cui si sono tessute lodi sperticate nei confronti del grande traforo, desidero parlare un po’di quella che fu la prima realizzazione del traforo ferroviario del san Gottardo.
Nel 1869, anno dell’apertura del Canale di Suez, la Svizzera, l’Italia e la Germania sottoscrissero un accordo per finanziare l’impresa: l’Italia avrebbe contribuito con 45 milioni di franchi svizzeri, la Germania e la Svizzera con 20 milioni ciascuna. Fu fondata la “Compagnia del Gottardo”, alla quale parteciparono vari gruppi tedeschi con 102 milioni. Nel 1872 l’opera fu appaltata all’impresa di Louis Favre, ingegnere ginevrino, con un’offerta di 48 milioni e la promessa di terminare i lavori entro otto anni.
Tuttavia già nel 1875 la Compagnia del Gottardo, che aveva già superato del 50 per cento le spese, si trovò in una grave crisi finanziaria. Ci furono ulteriori interventi governativi e Alfred Escher fu estromesso dal gruppo. Favre morì poco dopo, prima che l’opera fosse finita. I lavori terminarono con oltre un anno di ritardo e un superamento dei costi di parecchi milioni, che furono fatti rimborsare alla ditta appaltatrice.
Nel traforo si sperimentarono nuove tecniche per velocizzare i lavori e la fretta si ripercosse duramente sulla condizione degli operai impiegati nella costruzione.  Le condizioni degli operai impiegati nella costruzione del traforo erano pessime. Si facevano turni di 8 ore in un ambiente in cui la temperatura superava i 30 gradi, in cui l’aria era resa irrespirabile dalla scarsa ventilazione e dalle esalazioni delle macchine.
Furono quasi duecento i lavoratori deceduti a causa degli incidenti sul cantiere. Gli infortuni arrivarono alle quattrocento unità. Inoltre l’igiene era pessima: non erano stati installati sufficienti servizi igienici e l’approvvigionamento dell’acqua era scarso. L’accumularsi di sporcizia ed escrementi favorì la diffusione dell’ancyilostoma duodenale, un verme parassita. La malattia, conosciuta in principio come “anemia del Gottardo”, o “anemia del minatore”, fu attribuita inizialmente all’inalazione dei gas nocivi all’interno della galleria, ma la sua vera natura fu identificata solo nel 1880 in un ospedale a Torino, nei corpi dei minatori rientrati a causa della malattia e in seguito deceduti.
Anche le condizioni di vita fuori dal cantiere erano gravose. La popolazione residente ad Airolo nel periodo di costruzione del traforo raddoppiò; a Göschenen quintuplicò. Gli operai, di cui quasi cinquemila erano di origini italiane, trovarono posto nelle poche baracche costruite dalla ditta di Favre o in luoghi non idonei come stalle e soffitte, messi a disposizione dai residenti. Gli alloggi erano caratterizzati da sporcizia e promiscuità. Il salario medio di un operaio specializzato era di circa quattro franchi al giorno; quello di un manovale poco più di tre franchi. Per dormire a turni di otto ore in uno stesso letto si pagavano 50 centesimi, mentre una sistemazione in stanzoni con dieci letti era di venti franchi al mese. Un chilogrammo di pane costava 40 centesimi e uno di formaggio poco meno di un franco. Gli operai dovevano inoltre provvedere all’olio per le lampade utilizzato nello scavo. Il pagamento dei salari era effettuato in buona parte in buoni d’acquisto utilizzabili presso gli spacci della ditta di Favre, la quale offriva prodotti a prezzi esorbitanti e in valuta italiana per guadagnare con il cambio.
La situazione di disagio degli operai determinò le prime proteste. Il 27 luglio del 1875 a Göschenen un gruppo di operai lasciò la galleria senza permesso. Favre, dopo aver tentato inutilmente di trattare con gli scioperanti, chiese aiuto alla milizia di Göschenen, che per reprimere la rivolta sparò sui manifestanti, provocando quattro morti (Costantino Doselli, di Parma, anni venti; Giovanni Merlo, di Torino, anni ventisei; Salvatore Villa e Giovanni Gotta, di Torino, anni venticinque) e diversi feriti. I giornali elvetici raccontarono gli avvenimenti rilevando soprattutto le paure degli abitanti nei confronti degli italiani e prendendo posizione a favore di Favre, dipinto come un benefattore, di fronte all’ingratitudine dei lavoratori, avidi di denaro. L’uso della forza da parte delle forze dell’ordine fu ritenuto giustificato. Il Consiglio Federale tuttavia fece stilare un rapporto in cui si confermarono i disagi denunciati dagli scioperanti. Nello stesso anno si ebbe uno sciopero anche sul versante opposto, ad opera di 400 tagliapietre che protestarono per aver ricevuto un salario inferiore alla somma pattuita. Fu sicuramente il primo sciopero tenuto in Canton Ticino.
In memoria delle duecento vittime del traforo, sul piazzale antistante la stazione ferroviaria di Airolo sorge il monumento dello scultore ticinese Vincenzo Vela. Si tratta di un bassorilievo in bronzo posato nel 1932 dalla direzione delle FFS. L’epigrafe recita: Nel 50º anniversario della grande umana vittoria che dischiuse fra genti e genti la via del San Gottardo, questa pietra ove l’arte segna e consacra l’oscura eroica fatica del lavoratore ignoto.

da Wikipedia

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