Memorie

BATTAGLIE DI CONFINE…

Primi anni Cinquanta. Settant’anni fa, eppure sembra ieri. Nessun rimpianto, commozione sì, tanta. Di allora, nitide le immagini, immutati sensazioni e sentimenti. Le giornate, da adolescenti, sono piene, intense, interminabili, ma troppo brevi. Si gioca alla guerra, si scontrano le bande, ognuna con un capo. Il mio capobanda è il Peppo. Un duro, tosto anche a scuola, ha ripetuto la terza e adesso fa la quinta per la seconda volta.
Le nostre armi sono archi costruiti con rami di nocciolo, un legno particolarmente resistente ed elastico, che troviamo sulla Maiocca. Le frecce sono invece rami più sottili, sempre di nocciolo, oppure stecche di ombrello. Ognuno ha un tirasassi, una fionda. In questo caso il legno deve essere durissimo, il noce o il rubino sono ideali, l’elastico si deve poter estendere, senza tuttavia perdere forza e potenza. In tasca tutti i ragazzi hanno un “coltellino” assolutamente necessario per costruirsi arco, fionda, ed eventualmente spade di legno…
Ogni quartiere ha la sua banda con le sue regole, la sua lingua, il suo capo. Noi della piazza davanti alla dogana parliamo in italiano. Quelli di Sagnino si esprimono solo in dialetto. Sono temutissimi, quando scendono dalla collina a frotte incutono paura. Anche quelli di Chiasso hanno la loro banda, ma non partecipano mai alle guerre, preferiscono stare in pace, anche perché non potrebbero attraversare la dogana “armati” di archi e fionde… Il loro idioma è il ticinese, un dialetto meneghino bistrattato, raffreddato, indurito, ostile. Teatri di guerra sono le colline della Maiocca e di Quarcino, i boschi dalle parti del lavatoio, i dintorni dei magazzini Albarelli dove si fabbrica il ghiaccio, la “cavetta”, una discarica a cielo aperto appena dietro il cimitero di Monte Olimpino. Quando scoppia la pace, deposti tirasassi, archi e frecce, Ponte Chiasso diventa una bisca a cielo aperto in cui ci si scambiano, si perdono e si vincono figurine, biglie, francobolli, giornalini.

In via Vela c’è un bar, il “Fagiano Azzurro”, con un biliardino e un “calcio balilla”. Non è simpatico il padrone, perché ci controlla, non si fida di noi. Le nostre partite a calcio balilla sono lunghissime, e questo lo insospettisce. In realtà ha ben ragione perché un fazzoletto appositamente piazzato dentro le porte impedisce alle palline di scendere e prolunga all’infinito il tempo delle partite. Di fronte al “Fagiano Azzurro” un negozio di tessuti, più avanti la Posta e una rivendita di vini. Un ampio porticato, dove si può giocare quando piove, poi la via si riduce a un viottolo alla cui sinistra scorre la rete di confine con la Svizzera. Tra via Vela e la rete un campo pieno di sassi, il luogo preferito di strenue battaglie agli indiani con archi e frecce, e poco oltre un prato spelacchiato che si trasforma in un campo di calcio fino a quando non arriva qualche finanziere a cacciarci via perché “vicini alla rete non si può stare”.
Un giorno, allontanati in malo modo nel bel mezzo di una combattutissima partita, ci siamo nascosti tra i sassi e abbiamo assistito a un vero e proprio bombardamento di pacchetti di “bionde” (sigarette) da una parte all’altra della rete, dalla Svizzera verso l’Italia. Evidentemente la nostra presenza avrebbe disturbato il contrabbando volante.
In fondo a via Vela il lavatoio con un’acqua freschissima, appena prima del ruscello che corre verso la Svizzera. Un ponticello traballante di legno, oltre il quale lungo una strada sterrata si arriva in via Brogeda. Accanto al lavatoio, davanti al ponticello, uno spiazzo con un grande mucchio di terra finissima. È come essere al mare, in spiaggia. Siamo bravissimi a costruire percorsi di sabbia con tanto di salite, discese, ponti, che di volta in volta prendono nomi importanti: Giro d’Italia, Tour de France, Milano-Sanremo, Campionato del Mondo, Giro di Lombardia, Parigi-Roubaix…Le biglie di vetro hanno il nome dei più grandi campioni e di onesti gregari, il colore è quello delle loro marche. Il campionissimo Fausto Coppi veste bianco-celeste come il suo fido Ettore Milano, Ginettaccio Bartali ha la maglia gialla mentre il fedele Giovanni Corrieri è nel classico verde oliva della Legnano, il belga Rik Van Steenbergen, re delle volate, ne ha una iridata da campione del mondo, poi Stan Ockers, indomito, l’elegante Jean Bobet, il piccolo Jean Robic, testa di vetro, il bravo Pasquale Fornara con la sua Atala, Fiorenzo Magni, pronto ad approfittare della rivalità tra i due super-campioni, il simpatico e prominente nasone di Ferdi Kubler, campione svizzero, il bell’Hugo Koblet, che prima del traguardo si solleva dalla sella, estrae un pettinino dalla tasca e si sistema i capelli con cura…
Si gioca ore ed ore divertendosi, litigando, ridendo, prendendosi in giro. Finisce la giornata che è quasi buio con una rinfrescata al lavatoio e le donne che ci urlano di stare attenti a non sporcare i loro panni stesi ad asciugare e ci invitano ad andare a casa che è tardi.

Da “Memorie Lariane” di Renzo Romano, pubblicate dal Corriere di Como

ANDAA’ DE SFRUUS…(la fin)

Il boom economico degli anni ‘50 e ‘60 segnò la fine dell’epoca romantica del contrabbando e dello spallone, soppiantati dalla tecnologia e da sistemi di commercio illegale meno romantici, che non lasciano spazio ad una figura nata dal bisogno e dalla fame.
Non più riso, tabacco, caffè o orologi, ma droga, uranio, soldi, immigrati clandestini, come dimostrato dal triste fenomeno dei passatori. Le organizzazioni che lo curano non hanno nulla a che fare con le vecchie combriccole di paesani. Semplicemente schiacciando un tasto di invio di un computer, si possono contrabbandare più soldi che durante l’intero periodo d’oro del contrabbando lariano. Il progresso economico e sociale delle popolazioni ticinesi e dell’Alto Lago, poi, ha fatto il resto, eliminando quelle sacche di povertà che fino al dopoguerra servivano da serbatoio per le organizzazioni di contrabbandieri. La gente si è imborghesita: chi mai, oggi, se la sentirebbe di arrampicarsi sui sentieri ripidi che costeggiano il Sasso Gordona, portando sulla schiena trenta o quaranta chili di zucchero, sigarette, caffè e sfidando i proiettili e le trappole delle guardie di finanza?
Una figura di spicco di questo nuovo tipo di “sfrusadur”, è Augusto Arcellaschi, indicato come il nuovo boss del contrabbando di sigarette. Soprannominato “Il Rosso di Albiolo” per la sua capigliatura, o anche “Il macelarin” per i suoi trascorsi professionali, da tempo viene indicato in un fascicolo della Guardia di Finanza di Milano fra i sette capi del contrabbando internazionale. Da sempre uno scalino sotto Gerardo Cuomo, ora potrebbe aver preso il suo posto.
In paese è da moltissimi anni che non ci mette piede, ma tutti lo ricordano, sanno chi è. Nato a Como il 1° agosto del ’44 aveva preso residenza nell’Olgiatese non lontano da valico di Bizzarone, punto davvero strategico per i suo malaffari.
Negli Anni ’70 era già un pezzo da novanta del settore. A metà del decennio successivo conquistò grande fama per essere finito in galera nell’ambito della clamorosa inchiesta che riguardava lo scandalo della dogana di Chiasso e che aveva travolto alcuni funzionari in odor di corruzione che, in cambio di cospicue fette di milioni, chiudevano entrambi gli occhi e lasciavano transitare da Brogeda, tra il 1979 e il 1981, 160 tir carichi di “bionde”.
Un altro episodio risale al maggio del ’93 quando ad Albate cercò di recuperare un carico di sigarette che qualcuno aveva rubato alla sua, già allora, potente organizzazione malavitosa. Si era mosso personalmente, se non altro per far capire a tutti chi stava nella sala dei bottoni. Non ebbe molta fortuna in quell’occasione: nel luogo dove si erano incontrati i vari malavitosi erano arrivate anche le Fiamme Gialle e lui per fuggire aveva scavalcato una recinzione metallica. Durante il “salto”, però, venne tradito dalla sua fede matrimoniale rimasta impigliata nella rete. Arcellaschi ci lasciò un dito. Per nulla preoccupato lasciò il dito appeso alla recinzione e, seppur sanguinante, proseguì la sua fuga riuscendo ad entrare, grazie ai suoi uomini, in Svizzera da Rancate, nonostante anche la frattura ad una gamba riportata nello stesso “salto”… In quell’occasione si beccò una denuncia a piede libero con l’accusa di aver contrabbandato in tre mesi “soltanto” 60 tonnellate di sigarette. Accuse dalle quali venne prosciolto per una momentanea depenalizzazione del reato di contrabbando.
Mica finita: pochi mesi dopo, nel novembre del ’93, Augusto Arcellaschi venne arrestato dalla Polizia Cantonale del Ticino con l’accusa di aver corrotto l’allora Numero Due della Polizia di Chiasso, Leonardo Ortelli. Ma già ad inizio di quell’anno il “Rosso” di Albiolo era stato indagato per la misteriosa scomparsa di un camionista di Uggiate Trevano. Quel mistero non è mai stato chiarito. Di certo lo scomparso, che, secondo quanto era emerso dalle indagini, avrebbe effettuato parecchi trasporti illegali per conto del “Rosso”, quel giorno avrebbe dovuto incontrare proprio Arcellaschi, che alla fine venne arrestato in nel 2004 in Slovenia, per vari provvedimenti restrittivi delle autorità giudiziarie italiane, e sta scontando, credo ai domiciliari, quello che gli rimane delle pene detentive.

ANDAA’ DE SFRUUS…(3)

Il Cinto

Il nostro prossimo eroe, il Cinto, di cognome Valdè, è nato e vissuto a Colonno, dove il contrabbando aveva fornito per anni un reddito supplementare a una popolazione maschile abituata alla migrazione stagionale in Svizzera come operai edili. Dal canto loro, le donne di Colonno avevano sviluppato una specializzazione nella produzione di burro locale adulterato con la margarina, diffusosi a Como, Brianza e Milano. Questa tradizione clandestina locale era così forte, che Colonno sviluppò tra la sua gente un senso di “omerta” indistruttibile, come in qualsiasi territorio controllato dalla mafia.
La carriera fuorilegge del Cinto iniziò nel momento in cui fu smobilitato dall’esercito, nel settembre 1943 in seguito all’armistizio del governo Badoglio. Immediatamente andò in montagna come partigiano della 52a Brigata Garibaldi con “Novara” come suo nome di battaglia. Una delle sue prime azioni fu il sequestro di armi dalla caserma della Guardia di Finanza ad Argegno dove molti finanzieri stessi desiderarono unirsi ai partigiani. Partecipò anche all’irruzione, guidata dal capitano Ugo Ricci, alla caserma Porlezza della Divisione Navale X Mas. La sua ultima grande azione fu quella di fornire copertura di retroguardia al fallito tentativo (in cui fu ucciso Ugo Ricci) di rapire Guido Buffarini Guidi, il ministro delle Finanze nazifascista, allora residente in albergo a Lenno. Successivamente si dedicò a tempo pieno al contrabbando.
Il periodo tra il 1945 e il 1948 è stato quello in cui la fornitura di merci di contrabbando è andata in entrambe le direzioni oltre il confine svizzero. L’arrivo delle truppe americane, ben rifornite, offrì una fonte di merci che scarseggiavano disperatamente in Svizzera. Oltre ai generi alimentari, gli spalloni ora trasportavano pneumatici per biciclette e camion, tessuti per paracadute e persino preservativi. I rischi presi dagli spalloni erano considerevoli poiché gli svizzeri avevano integrato i loro normali controlli alle frontiere, con soldati reclutati dai cantoni di lingua tedesca che non esitavano a sparare a chiunque ignorasse il loro grido di “Alt”. Tuttavia nel 1948 la domanda di queste merci diminuì, le guardie di frontiera svizzere furono ritirate e gli svizzeri depenalizzarono tutto il traffico che attraversava il loro territorio verso l’Italia.
L’usanza tradizionale aveva stabilito che i gruppi di contrabbandieri viaggiassero in un unico convoglio. Il Cinto, tuttavia, sviluppò un proprio metodo particolarmente riuscito. Viaggiava con una fidata banda di otto o nove spalloni ma dividendo il gruppo in due, con lui stesso in testa insieme a due dei membri più veloci e forti della sua banda; portava una bricolla carica di soli 15 chilogrammi di merce. Gli altri membri seguivano ben lontani dal gruppo di testa. Se il gruppo di testa avesse incontrato una pattuglia di finanzieri, gli altri membri del gruppo rimanevano nascosti fino a quando la pattuglia non fosse stata trascinata via all’inseguimento. Il gruppo di testa avrebbe dovuto, nel peggiore dei casi, abbandonare solo due delle loro bricolle per aiutare la fuga. Il Cinto in linea di principio non ha mai abbandonato il proprio carico più leggero.
Il Cinto valutò anche di stringere alleanze con altri contrabbandieri, in particolare con gli spalloni di Dongo. Quelli di Dongo non ebbero bisogno di molta persuasione per comprendere i vantaggi di iniziare le loro incursioni transfrontaliere da Colonno. Un viaggio da Colonno ai negozi appena oltre il confine durava circa tre ore anziché le sei necessarie da Dongo. Il Cinto prese a collaborare anche con contrabbandieri con sede a Lezzeno, direttamente dall’altra parte del lago rispetto a Colonno. Il trasporto successivo delle sigarette e del caffè da Lezzeno al mercato principale di Milano era molto più sicuro da lì, che dalle sponde occidentali del tratto comasco del lago: subivano meno controlli da parte della Guardia di Finanza e avevano più rotte alternative per Milano.
Con l’introduzione dei suoi nuovi metodi il Cinto assunse la guida di un’impresa criminale di successo. Divenne noto come il Capitano del Lago. Aveva l’abitudine di trovarsi ogni lunedì sera, per regolare i conti e programmare le attività della settimana successiva, in un bar accanto alla stazione degli autobus a Como. Qui si davano appuntamento tutti e tre gli interlocutori, ovvero i trasportatori di Lezzeno, gli spalloni di Dongo/Colonno e i negozianti della Svizzera. Lezzeno prima avrebbe pagato a Colonno il numero di bricolle loro consegnato, Colonno avrebbe quindi pagato gli Svizzeri per quello che si erano portati via da oltre confine.

ANDAA’ DE SFRUUS…(2)

Prima di proseguire con gli “eroi”, desidero chiarire che in quegli anni, il soprannome cimino era stato affibiato anche ad un  finanziere, in servizio ad Argegno, un ragazzotto alto e arrogante al punto di farsi la fidanzata a Colonno, e di andare spesso a trovarla. In una occasione, in paese non esitò a sparare per bloccare due bricolle; una pallottola sfiorò la testa di un anziano che se ne stava seduto su uno sgabello, fuori dalla propria casa. Due sere dopo il finanziere fu trovato pesto e malconcio e i superiori pensarono, opportunamente e per evitare guai più grandi, ad un suo immediato trasferimento.

Il Ment

Il nostro secondo eroe è Clemente Malacrida nato nel 1900 e cresciuto a Pellio Intelvi. Inizialmente applicò la sua conoscenza della montagna e dei sentieri meno conosciuti oltre confine, per assistere i vari agenti segreti che volevano raggiungere Lugano. Dopo la fine della Grande Guerra prese ad integrare le sue entrate come intermediario nella vendita di bestiame, contrabbandando tabacco, cioccolato e caffè dalla Svizzera. Ben presto fu riconosciuto come capo dei contrabbandieri guadagnandosi il titolo “Il Duca dei Contrabbandieri”.
Negli anni ’30 il Ment era costantemente in fuga dalla Guardia di Finanza, dalla Polizia Forestale e dai Carabinieri. Il suo status eroico fu assicurato quando, il 10 agosto 1933, mentre partecipava alla festa locale di San Lorenzo in una grande scampagnata al Rifugio Venini sul Monte Galbiga, aiutò il suo amico di sempre, il Gal, a fuggire da una trappola tesa dai Carabinieri. Insieme fuggirono discendendo la Val Perlana fino al Monastero di San Benedetto.
Ha guadagnato fama nazionale l’inverno successivo quando ha guidato un enorme convoglio di cento contrabbandieri che portavano caffè attraverso le montagne innevate. Il maltempo aveva causato una prolungata interruzione delle traversate regolari poiché le tracce nella neve rendevano facile l’individuazione da parte dei finanzieri. La situazione era diventata critica, con gli investitori irrequieti nel vedere l’accumularsi di merci in attesa di ritiro nei negozi appena oltre il confine svizzero. Si decise di organizzare una spedizione di massa degli spalloni e l’unica persona a cui poteva essere affidata la guida era il Ment coadiuvato dall’amico il Gal. Tuttavia in questa occasione il Ment fu tradito da uno degli spalloni che parlava troppo. La colonna fu intercettata alla Cima di Bove lungo la Val Mara che porta a Lanzo Intelvi. L’episodio è notoriamente rappresentato sulla prima pagina della “Domenica del Corriere” che, sotto il titolo “2 contro 100”, sosteneva che la colonna fosse stata fermata da una semplice coppia di finanzieri, sebbene in realtà fossero stati intercettati da almeno cinque pattuglie. Novantasette bricolle piene di caffè dovettero essere abbandonate per consentire a tutti gli spalloni, tranne uno, di sfuggire alla cattura. Per Ment, la pubblicità gli assicurò di diventare un simbolo eroico di sovversione. Furono raddoppiati gli sforzi per arrivare al suo arresto.
Un anno e un mese dopo, lui e Gal furono catturati il giorno dell’Epifania del 1935 dai Carabinieri di Castiglione Intelvi a Blessagno. Furono processati un mese dopo ed ad entrambi furono inflitte lunghe pene detentive. Ment riuscì comunque a evadere di prigione nell’estate del 1936, ma fu rapidamente nuovamente arrestato, picchiato e lasciato morire per le ferite provocate dalle botte ricevute, pochi giorni dopo essere tornato in prigione, nel carcere di Pozzuoli. Gal scontò la pena e uscito dal carcere nel 1943, tornò subito in montagna come partigiano impugnando le armi contro il regime nazifascista.
Senza la fuga anche Ment avrebbe potuto evitare la morte, ma la sua determinazione a evitare l’arresto durante la sua carriera, è nata da uno spirito ribelle. Il suo rifiuto di scendere a compromessi con l’autorità sembrava esemplificare lo spirito indipendente della Val D’Intelvi e il suo esempio ha continuato a ispirare le future generazioni di spalloni.

ANDAA’ DE SFRUUS…(1)

Nessuna era romantica può fare a meno dei suoi eroi. Il folklore ha trasformato molti banditi moralmente discutibili in guerrieri contro l’oppressione, che lottano per i poveri e per una più giusta distribuzione della ricchezza.
Tali eroi sono emersi anche tra le fila degli spalloni che operavano all’interno della Val D’Intelvi e del Lago di Como. Condividevano quel mix di qualità comuni ai capi contadini da Robin Hood ai giorni nostri: possedevano una conoscenza approfondita dell’ambiente locale, comune a tutte le comunità contadine, unita a uno spirito imprenditoriale e alla capacità di guidare il gruppo. La loro sicurezza dipendeva dal mantenimento del rispetto e del sostegno delle loro comunità locali che, per qualsiasi motivo, conservavano una maggiore lealtà verso uno di loro piuttosto che verso lo Stato in generale.

Vediamo di conoscerne qualcuno.

Il Cimino

Il nostro primo eroe ci riporta ai nostri tempi. Il Cimino è oggetto di una ballata intitolata “La Ballata del Cimino” scritta e musicata dal cantautore locale Davide Van de Sfroos. La ballata racconta una delle gesta di Sergio Bordoli, contitolare con la moglie del Bar Sport Lella di Sala Comacina. Fu soprannominato Il Cimino in onore di Leonardo Cimino, criminale romano brevemente famoso verso la fine degli anni ’60 per un paio di rocambolesche rapine. In gioventù il Cimino era un contrabbandiere che seguiva le rotte guidate da il Cinto (un altro eroe del quale parleremo in una altra occasione) dalla Svizzera a Colonno e attraverso il lago fino a Lezzeno. Sergio ‘Il Cimino‘ Bordoli è nato dopo l’ultima guerra in una famiglia di dieci persone. All’età di 14 anni chiese a sua madre il permesso di iniziare a contrabbandare. Permesso prontamente accordato, vedendo come la famiglia avesse un disperato bisogno dei suoi guadagni aggiuntivi. La ballata narra di un’occasione, all’inizio degli anni ’60, quando gli fu affidato il compito di scoprire bricolle piene di sigarette che erano state nascoste in prossimità del lungolago vicino a Brienno e di caricarle su un motoscafo per la traversata per Lezzeno. Purtroppo una pattuglia armata della Guardia di Finanza con cani lo intercettò. Per evitare la cattura si gettò nel lago vicino al ristorante Il Crotto dei Platani e nuotò sott’acqua fino a riemergere sotto la copertura di una scogliera sporgente. Lì aspettò che i finanzieri rinunciassero a ogni ulteriore ricerca per lui, prima di uscire gocciolante e avendo perso la camicia di Lacoste.