DOLCI CHE SANNO DI PRIMAVERA

Vi è mai sembrato, mangiando una colomba di Pasqua, che vi fosse una strana somiglianza con l’impasto del panettone? Sicuramente chi non ama l’uva passa e i canditi ha avuto un déjà vu natalizio. La spiegazione è quanto mai logica.
Malgrado spesso i dolci delle festività abbiano una storia secolare e magica, la colomba non l’ha. È stato semplicemente un colpo di genio di una delle più grandi aziende italiane produttrici di dolci, la Motta.
Negli anni ’30, tra guerre, crisi e boom economici, qualcuno pensò che era un peccato, nonché uno spreco, sfruttare gli avanguardistici macchinari per la produzione del panettone solo una volta all’anno.
Scelsero di lanciare sul mercato un prodotto simile che si potesse commercializzare in un altro periodo. Nessuna festa poteva essere più degna della Pasqua.
La ricetta dell’impasto era ormai consolidata ma vennero aggiunti dei dettagli per impreziosirla: mandorle, nocciole e fiocchi di zucchero. La vera carta vincente fu la forma.
La colomba nella cristianità è simbolo di pace e salvezza, nella Bibbia funge da portavoce di Dio e comunica a Noè la riconciliazione e la fine del diluvio universale.
Lanciata sul mercato come dolce primaverile, i consumatori riconobbero in fretta la simbologia e la collegarono con la Pasqua e la Resurrezione.
Ebbe così tanto successo che oggi se ne vendono decine di milioni l’anno e, sulla falsa riga di «non è Natale senza panettone», per molte famiglie non è Pasqua senza la colomba. Ma a Como pare non sia così.

Dalle nostre parti c’è un dolce, unico nel suo genere, esclusivamente comasco, che ha origini antiche e versioni differenti. Como, da sempre celebre per la bontà del suo pane, era meta annuale di una stragrande quantità di pellegrini nella settimana di Pasqua; per l’occasione i fornai di allora (rione S. Agostino) ebbero l’idea di distribuire con il pane anche il ramo d’ulivo, come fare?
Cambiarono la classica forma della celebre «Pagnottella» allungandola così da contenere il ramoscello d’ulivo. Con il passare degli anni questo prodotto si impose sempre di più, dal Panettiere passò al Pasticcere, il quale lo elaborò al punto d’ottenere un «dessert» veramente diverso e originale.
Resta, sta per restare.
Infatti rimane il bastoncino d’ulivo come viatico benedetto in ogni casa. Si narra che quando non esisteva ancora la luce elettrica, per non perdere questo bastoncino si legava a un lato un batuffolo di cotone e lo si usava per pulire i vetri delle lucerne a petrolio. Anni fa, vi fu un dubbio circa il nome esatto di questo dolce: RESTA o RESCA?, cioè la lisca del pesce, data la vicinanza della città al lago; ma fu subito chiarito per il fatto che l’antica ricetta prescrive sul lato superiore del dolce 12 tagli quanti sono gli Apostoli. Questo dolce, dagli ingredienti semplici e naturali, con il passare del tempo e la volontà dei Maestri Pasticceri comaschi si è veramente imposto; anziché essere prodotto un solo giorno dell’anno, cioè alla domenica delle Palme, è passato a una produzione quasi giornaliera.

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