Stavo chiacchierando un giorno con degli amici nella piazza del paese, quando vidi dirigersi verso di me una persona che mi pareva di conoscere. Lì per lì pensai di sbagliarmi, invece, man mano che mi si faceva più vicino, lo riconobbi era proprio il Tremezzin. Mi salutò e gli risposi calorosamente: “Come va, vecchia canaglia?” Appena mi avvicinai, sentii il volto corrugarsi e cambiai espressione: il Tremezzin si comprimeva il naso e la bocca con un fazzoletto. Non era più lui, il piccolo e forzuto spallone del Lario, con la sua grinta, il suo carattere laghée e il suo buon cuore. Erano passati per tutti, gli anni. Era sporco, smunto e pallido, al punto che iniziai a preoccuparmi seriamente. Gli chiesi con premura cosa fosse successo: “Cos’hai, Tremezzin, il raffreddore?” Tuttavia non finii la frase e già avevo perso la speranza che un banale raffreddore l’avesse ridotto a quel modo. “Man dà un pugn!!”, rispose. “Chi è stato?”, sbottai con rabbia. “Un stupit ch ‘el duveva dam di danée…”, riprese. Lo guardai ancora meglio: aveva il fazzoletto rosso e sporco e la bocca piena di sangue. “Vai subito al pronto soccorso, hai bisogno di un dottore”, continuai. Doveva essere un’emorragia piuttosto forte, che oltretutto non si arrestava.
“Prendi la corriera e vai a Como al pronto soccorso”, tornai a dire. “Sun pelà” mi rispose. “Vuoi che ti accompagni?”, continuai. “No, non c’è bisogno. Va già meglio”, rispose. “Ascolta, ecco i soldi per l’autobus e per farti una doccia. Vai al mercato, là ci sono i bagni pubblici, ti dai una ripulita e vai a farti vedere dal medico. Ti aspetto questa sera a casa e ti fermi a cena, va bene?”
Vidi i suoi piccoli occhi scintillare. Lo accompagnai alla fermata e lo salutai. Puzzava come un mendicante. Iniziai a ripensare a quante avventure avevamo vissuto insieme nei boschi, passando il fiume e per le valli del lago, a quanta vita ci aveva unito. Tornai a casa ma aspettai invano quella sera. La tavola era apparecchiata, la cena fumante, ma il Tremezzin non arrivò. Il giorno dopo seppi che era morto di emorragia nei bagni pubblici di via Mentana a Como. Se n’era andato pulito, per l’ultimo viaggio, portando con sé il segreto di chi l’aveva colpito e lasciando l’immagine dell’uomo che era sempre stato: un uomo mite, buono, generoso. Ciao Tremezzin, onore ai figli del lago, alla caparbia e alla fedeltà di noi teste dure, di tanti spalloni temerari che come te hanno fatto la storia del Lario. (A. A.)