Mese: Marzo 2022

ANDAA’ DE SFRUUS…(3)

Il Cinto

Il nostro prossimo eroe, il Cinto, di cognome Valdè, è nato e vissuto a Colonno, dove il contrabbando aveva fornito per anni un reddito supplementare a una popolazione maschile abituata alla migrazione stagionale in Svizzera come operai edili. Dal canto loro, le donne di Colonno avevano sviluppato una specializzazione nella produzione di burro locale adulterato con la margarina, diffusosi a Como, Brianza e Milano. Questa tradizione clandestina locale era così forte, che Colonno sviluppò tra la sua gente un senso di “omerta” indistruttibile, come in qualsiasi territorio controllato dalla mafia.
La carriera fuorilegge del Cinto iniziò nel momento in cui fu smobilitato dall’esercito, nel settembre 1943 in seguito all’armistizio del governo Badoglio. Immediatamente andò in montagna come partigiano della 52a Brigata Garibaldi con “Novara” come suo nome di battaglia. Una delle sue prime azioni fu il sequestro di armi dalla caserma della Guardia di Finanza ad Argegno dove molti finanzieri stessi desiderarono unirsi ai partigiani. Partecipò anche all’irruzione, guidata dal capitano Ugo Ricci, alla caserma Porlezza della Divisione Navale X Mas. La sua ultima grande azione fu quella di fornire copertura di retroguardia al fallito tentativo (in cui fu ucciso Ugo Ricci) di rapire Guido Buffarini Guidi, il ministro delle Finanze nazifascista, allora residente in albergo a Lenno. Successivamente si dedicò a tempo pieno al contrabbando.
Il periodo tra il 1945 e il 1948 è stato quello in cui la fornitura di merci di contrabbando è andata in entrambe le direzioni oltre il confine svizzero. L’arrivo delle truppe americane, ben rifornite, offrì una fonte di merci che scarseggiavano disperatamente in Svizzera. Oltre ai generi alimentari, gli spalloni ora trasportavano pneumatici per biciclette e camion, tessuti per paracadute e persino preservativi. I rischi presi dagli spalloni erano considerevoli poiché gli svizzeri avevano integrato i loro normali controlli alle frontiere, con soldati reclutati dai cantoni di lingua tedesca che non esitavano a sparare a chiunque ignorasse il loro grido di “Alt”. Tuttavia nel 1948 la domanda di queste merci diminuì, le guardie di frontiera svizzere furono ritirate e gli svizzeri depenalizzarono tutto il traffico che attraversava il loro territorio verso l’Italia.
L’usanza tradizionale aveva stabilito che i gruppi di contrabbandieri viaggiassero in un unico convoglio. Il Cinto, tuttavia, sviluppò un proprio metodo particolarmente riuscito. Viaggiava con una fidata banda di otto o nove spalloni ma dividendo il gruppo in due, con lui stesso in testa insieme a due dei membri più veloci e forti della sua banda; portava una bricolla carica di soli 15 chilogrammi di merce. Gli altri membri seguivano ben lontani dal gruppo di testa. Se il gruppo di testa avesse incontrato una pattuglia di finanzieri, gli altri membri del gruppo rimanevano nascosti fino a quando la pattuglia non fosse stata trascinata via all’inseguimento. Il gruppo di testa avrebbe dovuto, nel peggiore dei casi, abbandonare solo due delle loro bricolle per aiutare la fuga. Il Cinto in linea di principio non ha mai abbandonato il proprio carico più leggero.
Il Cinto valutò anche di stringere alleanze con altri contrabbandieri, in particolare con gli spalloni di Dongo. Quelli di Dongo non ebbero bisogno di molta persuasione per comprendere i vantaggi di iniziare le loro incursioni transfrontaliere da Colonno. Un viaggio da Colonno ai negozi appena oltre il confine durava circa tre ore anziché le sei necessarie da Dongo. Il Cinto prese a collaborare anche con contrabbandieri con sede a Lezzeno, direttamente dall’altra parte del lago rispetto a Colonno. Il trasporto successivo delle sigarette e del caffè da Lezzeno al mercato principale di Milano era molto più sicuro da lì, che dalle sponde occidentali del tratto comasco del lago: subivano meno controlli da parte della Guardia di Finanza e avevano più rotte alternative per Milano.
Con l’introduzione dei suoi nuovi metodi il Cinto assunse la guida di un’impresa criminale di successo. Divenne noto come il Capitano del Lago. Aveva l’abitudine di trovarsi ogni lunedì sera, per regolare i conti e programmare le attività della settimana successiva, in un bar accanto alla stazione degli autobus a Como. Qui si davano appuntamento tutti e tre gli interlocutori, ovvero i trasportatori di Lezzeno, gli spalloni di Dongo/Colonno e i negozianti della Svizzera. Lezzeno prima avrebbe pagato a Colonno il numero di bricolle loro consegnato, Colonno avrebbe quindi pagato gli Svizzeri per quello che si erano portati via da oltre confine.

ANDAA’ DE SFRUUS…(2)

Prima di proseguire con gli “eroi”, desidero chiarire che in quegli anni, il soprannome cimino era stato affibiato anche ad un  finanziere, in servizio ad Argegno, un ragazzotto alto e arrogante al punto di farsi la fidanzata a Colonno, e di andare spesso a trovarla. In una occasione, in paese non esitò a sparare per bloccare due bricolle; una pallottola sfiorò la testa di un anziano che se ne stava seduto su uno sgabello, fuori dalla propria casa. Due sere dopo il finanziere fu trovato pesto e malconcio e i superiori pensarono, opportunamente e per evitare guai più grandi, ad un suo immediato trasferimento.

Il Ment

Il nostro secondo eroe è Clemente Malacrida nato nel 1900 e cresciuto a Pellio Intelvi. Inizialmente applicò la sua conoscenza della montagna e dei sentieri meno conosciuti oltre confine, per assistere i vari agenti segreti che volevano raggiungere Lugano. Dopo la fine della Grande Guerra prese ad integrare le sue entrate come intermediario nella vendita di bestiame, contrabbandando tabacco, cioccolato e caffè dalla Svizzera. Ben presto fu riconosciuto come capo dei contrabbandieri guadagnandosi il titolo “Il Duca dei Contrabbandieri”.
Negli anni ’30 il Ment era costantemente in fuga dalla Guardia di Finanza, dalla Polizia Forestale e dai Carabinieri. Il suo status eroico fu assicurato quando, il 10 agosto 1933, mentre partecipava alla festa locale di San Lorenzo in una grande scampagnata al Rifugio Venini sul Monte Galbiga, aiutò il suo amico di sempre, il Gal, a fuggire da una trappola tesa dai Carabinieri. Insieme fuggirono discendendo la Val Perlana fino al Monastero di San Benedetto.
Ha guadagnato fama nazionale l’inverno successivo quando ha guidato un enorme convoglio di cento contrabbandieri che portavano caffè attraverso le montagne innevate. Il maltempo aveva causato una prolungata interruzione delle traversate regolari poiché le tracce nella neve rendevano facile l’individuazione da parte dei finanzieri. La situazione era diventata critica, con gli investitori irrequieti nel vedere l’accumularsi di merci in attesa di ritiro nei negozi appena oltre il confine svizzero. Si decise di organizzare una spedizione di massa degli spalloni e l’unica persona a cui poteva essere affidata la guida era il Ment coadiuvato dall’amico il Gal. Tuttavia in questa occasione il Ment fu tradito da uno degli spalloni che parlava troppo. La colonna fu intercettata alla Cima di Bove lungo la Val Mara che porta a Lanzo Intelvi. L’episodio è notoriamente rappresentato sulla prima pagina della “Domenica del Corriere” che, sotto il titolo “2 contro 100”, sosteneva che la colonna fosse stata fermata da una semplice coppia di finanzieri, sebbene in realtà fossero stati intercettati da almeno cinque pattuglie. Novantasette bricolle piene di caffè dovettero essere abbandonate per consentire a tutti gli spalloni, tranne uno, di sfuggire alla cattura. Per Ment, la pubblicità gli assicurò di diventare un simbolo eroico di sovversione. Furono raddoppiati gli sforzi per arrivare al suo arresto.
Un anno e un mese dopo, lui e Gal furono catturati il giorno dell’Epifania del 1935 dai Carabinieri di Castiglione Intelvi a Blessagno. Furono processati un mese dopo ed ad entrambi furono inflitte lunghe pene detentive. Ment riuscì comunque a evadere di prigione nell’estate del 1936, ma fu rapidamente nuovamente arrestato, picchiato e lasciato morire per le ferite provocate dalle botte ricevute, pochi giorni dopo essere tornato in prigione, nel carcere di Pozzuoli. Gal scontò la pena e uscito dal carcere nel 1943, tornò subito in montagna come partigiano impugnando le armi contro il regime nazifascista.
Senza la fuga anche Ment avrebbe potuto evitare la morte, ma la sua determinazione a evitare l’arresto durante la sua carriera, è nata da uno spirito ribelle. Il suo rifiuto di scendere a compromessi con l’autorità sembrava esemplificare lo spirito indipendente della Val D’Intelvi e il suo esempio ha continuato a ispirare le future generazioni di spalloni.

ANDAA’ DE SFRUUS…(1)

Nessuna era romantica può fare a meno dei suoi eroi. Il folklore ha trasformato molti banditi moralmente discutibili in guerrieri contro l’oppressione, che lottano per i poveri e per una più giusta distribuzione della ricchezza.
Tali eroi sono emersi anche tra le fila degli spalloni che operavano all’interno della Val D’Intelvi e del Lago di Como. Condividevano quel mix di qualità comuni ai capi contadini da Robin Hood ai giorni nostri: possedevano una conoscenza approfondita dell’ambiente locale, comune a tutte le comunità contadine, unita a uno spirito imprenditoriale e alla capacità di guidare il gruppo. La loro sicurezza dipendeva dal mantenimento del rispetto e del sostegno delle loro comunità locali che, per qualsiasi motivo, conservavano una maggiore lealtà verso uno di loro piuttosto che verso lo Stato in generale.

Vediamo di conoscerne qualcuno.

Il Cimino

Il nostro primo eroe ci riporta ai nostri tempi. Il Cimino è oggetto di una ballata intitolata “La Ballata del Cimino” scritta e musicata dal cantautore locale Davide Van de Sfroos. La ballata racconta una delle gesta di Sergio Bordoli, contitolare con la moglie del Bar Sport Lella di Sala Comacina. Fu soprannominato Il Cimino in onore di Leonardo Cimino, criminale romano brevemente famoso verso la fine degli anni ’60 per un paio di rocambolesche rapine. In gioventù il Cimino era un contrabbandiere che seguiva le rotte guidate da il Cinto (un altro eroe del quale parleremo in una altra occasione) dalla Svizzera a Colonno e attraverso il lago fino a Lezzeno. Sergio ‘Il Cimino‘ Bordoli è nato dopo l’ultima guerra in una famiglia di dieci persone. All’età di 14 anni chiese a sua madre il permesso di iniziare a contrabbandare. Permesso prontamente accordato, vedendo come la famiglia avesse un disperato bisogno dei suoi guadagni aggiuntivi. La ballata narra di un’occasione, all’inizio degli anni ’60, quando gli fu affidato il compito di scoprire bricolle piene di sigarette che erano state nascoste in prossimità del lungolago vicino a Brienno e di caricarle su un motoscafo per la traversata per Lezzeno. Purtroppo una pattuglia armata della Guardia di Finanza con cani lo intercettò. Per evitare la cattura si gettò nel lago vicino al ristorante Il Crotto dei Platani e nuotò sott’acqua fino a riemergere sotto la copertura di una scogliera sporgente. Lì aspettò che i finanzieri rinunciassero a ogni ulteriore ricerca per lui, prima di uscire gocciolante e avendo perso la camicia di Lacoste.

La “teoria delle finestre rotte”

Desidero oggi dare una risposta a chi, passando davanti a casa, mi dice: “Perchè ti ostini a pulire il marciapiede e la siepe, non toccherebbe… al Comune?”
Partiamo dall’inizio. 1969: uno psicologo sociale, Philip Zimbardo, effettua un esperimento. Fa parcheggiare due auto della stessa marca e modello, lasciandole ferme per una settimana, in due zone molto diverse degli USA: la prima, nel quartiere del Bronx, a New York; l’altra, nella cittadina di Palo Alto, in California.
Come prevedibile, l’auto abbandonata nel quartiere più “difficile” (il Bronx), alla fine della settimana era già stata saccheggiata e vandalizzata. Diversa la sorte dell’auto abbandonata nel quartiere esclusivo di Palo Alto, rimasta intatta.
Zimbardo e gli altri ricercatori hanno allora riproposto il parcheggio dell’auto a Palo Alto, ma questa volta ne hanno rotto prima un vetro. Dopo una settimana, l’auto col vetro rotto a Palo Alto fa la stessa fine di quella del Bronx.
I risultati di esperimenti di questo tipo hanno portato, alcuni anni dopo, all’enucleazione di una vera e propria teoria (v. James Wilson e George Kelling, 1982: Broken Window Theory).
La “teoria delle finestre rotte” viene collegata a tre concetti chiave: 1) principio di emulazione; 2) anonimato; 3) tolleranza zero rispetto ai reati o ai fenomeni di incuria.
Un noto episodio di applicazione di tale teoria ci riporta al 1994, quando era sindaco di New York, Rudolph Giuliani. New York aveva un tasso altissimo di omicidi (2.500 in un anno), con molti reati commessi all’interno della metropolitana. Giuliani decise che tutti gli uomini della polizia della metro fossero impiegati per il controllo del pagamento dei biglietti (aspetto banale, se vogliamo, rispetto agli omicidi). All’inizio, l’idea fu accolta da critiche e incredulità: non avrebbero avuto ben altro di più importante da fare tutti quegli agenti di polizia considerato il tasso di omicidi in metro?! Eppure, la strategia ha funzionato egregiamente: il fatto che nessuno sfuggisse più al mancato pagamento dei biglietti entrava in un’insperata correlazione con la diminuzione del numero di omicidi in metropolitana (e quindi nella città di New York), ridotti in un anno ad un terzo.
Tutto questo insinua la possibilità di inediti rapporti: il ragazzo deviante può causare volutamente, poniamo, la rottura di una porta in una scuola (e fin qui, purtroppo, ci siamo), ma il permanere nel tempo di una porta rotta in quella scuola può causare a sua volta l’aumento di episodi di devianza in altri ragazzi.
La strada in cui si lasciano sporchi i muri o ne viene trascurata la pulizia (“Stiamo aspettando il Comune…”) sarà in poco tempo preda di maleducati e dei loro animali: conviene cominciare concretamente col far sparire le manifestazioni (anche piccole) di incuria e degrado e, soprattutto, i segni che inducono a pensare che il permanere di tale incuria a nessuno sembri importare gran che.