Mese: Marzo 2020

UN MEDICO DI FAMIGLIA

Nel nostro vivere abbiamo incontrato persone che non hanno lasciato traccia del loro passaggio e altre che sono entrate prepotentemente nel nostro cuore e nella nostra intelligenza e lì si sono insediate. Il loro ricordo riaffiora impetuoso, ne sento la presenza.
Il dottor Agide Tettamanti è una di queste persone. Era il “mio” medico a Ponte Chiasso negli anni più belli del mio vivere. La guerra alle spalle, tante speranze per il futuro, anche d’inverno si portavano le braghe corte, i più grandicelli avevano i pantaloni alla zuava. Erano, questi, pantaloni particolarmente ampi che si arricciavano e rimboccavano sotto le ginocchia.

Il dottor Tettamanti abitava e aveva lo studio in una villetta in via Bellinzona appena dopo l’inizio di via Brogeda. Con il caldo e con il freddo, con la pioggia e con il sole, lui andava sempre a trovare i suoi pazienti in moto. Aveva un “Galletto” giallo, una Guzzi paciosa, tranquilla, rassicurante, sicura. Il “pot pot” del motore, pacato, ritmico, regolare come il battito del cuore, annunciava l’arrivo del dottor Tettamanti. Ricordo che parcheggiava il suo “Galletto” nel cortile di casa, mia mamma si affacciava al balcone e correva ad aprire la porta. Quel giorno il malato ero io. La notte ero stato malissimo, forse a causa di un dolce alla crema che non avevo digerito. L’Angioletta, la mia vicina di casa, la moglie di Spartaco il parrucchiere, di primo mattino era andata a chiamare il dottor Tettamanti affinché venisse a visitarmi. Lui salutò la mamma con un sorriso, si avvicinò al mio letto, mi prese il polso, chiese alla mamma se avessi la febbre, ascoltò il respiro, mi fece dire il solito “trentatré”… Un buffetto sulla guancia concluse la visita. Scarabocchiò una ricetta per le medicine, quindi se ne andò. Cordiale ma non lezioso, incuteva un certo senso di timore. Benvoluto da tutti, talvolta appariva burbero. Ci teneva ai suoi pazienti, li seguiva nel decorso della malattia. Specialmente con i bambini, ricordo il “pot pot” del suo “Galletto” che si fermava nel cortile, e il dottor Tettamanti, inaspettato che arrivava per vedere come andava… Pieno di umanità e nello stesso tempo rigoroso e severo con i suoi pazienti.

Lo ricordo in un’occasione per me triste. Mio padre, già nonno di due nipotine, un giorno si era sentito molto male. Il dottore lo aveva mandato a fare le radiografie al torace. Io, all’insaputa di mio papà, con le radiografie sono andato nel suo studio. Il dottore le ha guardate con attenzione, in silenzio. Si è rivolto a me: «Vedi questa grande macchia scura nel polmone destro? Tuo papà ha un tumore… non ci sono speranze».
Gli sono costate quelle parole, era il medico di mio papà da sempre. Mi ha stretto la mano, mi ha congedato con un sorriso triste. Meno di un anno dopo mio papà ci ha lasciati.

Ben diverso il dottor Tettamanti alle prese con il mio amico Gerardo, otto anni. Era avvenuto che, giocando in casa con sua sorella, Gerardo era franato contro il calorifero procurandosi una ferita alla nuca. La mamma preoccupata lo aveva portato di corsa dal dottore. Gerardo, forse impressionato dal sangue, rivolgendosi al dottor Tettamanti, gli chiese preoccupato: «Dottore, non è che diventerò scemo adesso che ho preso quella botta in testa e ho perso tanto sangue?». Seria e asciutta la risposta del dottor Tettamanti: «Vediamo subito!». Surreale, comico, serioso, il botta e risposta a suon di tabelline tra i due. «Tre per otto?». Gerardo: «Ventiquattro». «Nove per sette?». Gerardo: «Sessantatre». Un sorriso e una carezza alla parte di testa non avvolta dalla benda attestarono che la caduta non aveva fatto danni con soddisfazione di Gerardo, della sua mamma e anche del dottor Tettamanti.

Le vicende del mio vivere mi hanno in seguito allontanato da Ponte Chiasso ed è sbiadita la memoria del dottor Tettamanti fino al giorno in cui ho scoperto in una giovane collega, bravissima professoressa di filosofia, la figliola del “mio” indimenticato dottore. Mi avviene talvolta di incontrare Cristina, questo il suo nome, e allora mi pare di vedere nei suoi occhi il “mio” dottor Tettamanti e sentire il “pot pot” del suo inseparabile “Galletto” che ne preannunciava l’inaspettato arrivo e mia mamma attenta che tutto fosse in ordine per accoglierlo…

da  CORRIERE DI COMO “Memorie lariane” di Renzo Romano

LA FESTA DEL “PIN UMBRELA”

foto da Vezio Genovesi

L’UMBRELA DA TUTT

Guarda sù là sul munt
in mezz’ a tanti, lì ga nè üna.
La par perfin basada dal suu
ch’el se dà ul cambi pœ cun la lüna.
A guardà ben cun fantasia
par che la disa cun simpatia:

“Cià söta a mi fiö, farem legria.
Duman sù tutt, sù tutt de bœnura,
l’è vert per tutt, de dent e de föra”

L’aria l’e fresca e i prim s’anvian
cul car, ul tratur e la mercanzia.
Quant riven sù per scargà
guardan de chi, guardan de là.
Vedan ul sas. Ma ul sciuc l’e la!
Ul Pin Umbrela ma l’han tajà.

Ma chi l’e stà? Perche l’han fà?
L’era un gran simbul de rispetà.
Fa nient. Se credan cun questa
de rœvinà la festa, sin popri sbagliaa.
De pinn ga n’è ammò e la feed l’è tanta
che farem la festa anca senza la pianta.

una poesia di Giorgio Pietrobon.

PENSARE POSITIVO

危機

Si dice che i Giapponesi abbiano un modo di tradurre il termine “crisi” molto interessante: si tratta di un ideogramma composto da due parti che significano l’una “pericolo”, l’altra “occasione, possibilità d’azione”.
Lo stato di crisi non indica allora una situazione di disordine o di penoso pessimismo, ma una condizione di particolare vitalità, di occasione per una evoluzione della realtà, per superare posizioni di pericolo, in cui tutti sono impegnati a dare il loro apporto in un clima di collaborazione serena.

Il miglior augurio che il padre cinese usa formulare per il proprio figlio che nasce è di vivere tempi difficili, perchè considerati i più interessanti: non se supinamente accettati ma attivamente vissuti.

Sia questo un piccolo aiuto a superare il rischio odierno di una inerte rassegnazione di fronte alla realtà e a pensare positivo… nonostante il meteo, avrebbe detto il mitico Salvatore Furia.