Lilli, una lupacchiotta di pochi mesi molto esuberante, mi accoglie festosamente a Castel Carnasino in una rara mattina di sole di questo incostante aprile. I padroni di casa mi vengono incontro sorridendo a me e alle prodezze della loro recente creatura. Educatissimi, di una educazione d’altri tempi, che neppure un’antica amicizia può scalfire.
Avevo desiderio di tornare in questa dimora patrizia a distanza di alcuni decenni, quasi per verificare nitidissimi ricordi d’infanzia, quando la domenica con i miei genitori eravamo ospiti dei Torriani, a Castel Carnasino, appunto. I bambini erano tre: le nostre età simili, ma non abbastanza per inventare giochi comuni, quei giochi che mettono in campo fantasia o abilità fisiche. Ricordo che la grande attrazione era rappresentata dagli animali: animali giganti, di pezza, un leone, un cane, una pecora che emettevano i loro versi caratteristici, sollevando un gancio sulla schiena. Erano cavalcabili queste bestie e, dotate di rotelle, permettevano a noi bambini brevi percorsi, molto faticosi a causa dell’alto strato di ghiaia del giardino, che ostacolava lo scivolare delle rotelle. Due grosse trecce biondo-rosse, quelle di Tilde, riaffiorano alla mia memoria: le vedo lucenti, inondate di sole. Null’altro della fisionomia di questa bellissima bambina.
Il rito del pranzo domenicale
Le colazioni della domenica si svolgevano secondo un cerimoniale ben preciso. Una lunga tavola di noce accoglieva gli ospiti in una sala da pranzo con mobili scuri, rischiarati spesso dalle fiamme del camino. Una porticina collegava la sala alle cucine: da qui arrivavano i cibi. Protagonista indiscusso il padrone di casa, Giulio Torriani, uomo imponente, che, a capo tavola, mesceva i vini e serviva direttamente gli ospiti quando si trattava di selvaggina. Ascoltavo i discorsi dei grandi senza annoiarmi: i bambini, pur ammessi a tavola, non ricevevano attenzione alcuna e ci si aspettava da loro silenzio e buone maniere.
Giulio Torriani acquistò nel 1939 Castel Carnasino dagli Scalini, famiglia milanese che oggi vive in Brasile. I Torriani combatterono contro i Visconti per il dominio di Milano e vennero sconfitti a Desio nel 1277. Tra i superstiti, alcuni ripararono in Friuli altri in Baviera o in Svizzera. L’esponente più tristemente noto è quel Napo che, fatto prigioniero proprio nella battaglia di Desio, venne rinchiuso in gabbia al Castel Baradello, dove morì di stenti diciotto mesi dopo. Castel Carnasino è situato sulla collina di Monte Olimpino. È una importante costruzione rinascimentale, lineare, di colore ocra, sormontata da una torre merlata di epoca medievale. Torre che, con il Baradello e Lora, costituiva un ottimo sistema di avvistamento e, quindi, difensivo per la città di Como.
Quelle feste da ballo in galleria
La famiglia Odescalchi possedeva il Castello fin dall’inizio del XV secolo. Si dice che la dimora abbia ospitato il Cardinale Benedetto Odescalchi, che salì al soglio pontificio nel 1676 con il nome di Papa Innocenzo XI. La proprietà passò poi ai Parravicini, in seguito al matrimonio di Luigia Odescalchi con un Parravicini. Nel 1853 Luigia legò la proprietà a sua figlia adottiva (non avendo eredi naturali) Elisa Bottacin, che andò sposa al conte Coopmans de Yoldi. La nipote di Elisa, anch’ella di nome Elisa, sposa l’avvocato Carlo San Pietro, ultima famiglia a possedere il Castello prima degli Scalini.
Con i passaggi di proprietà vennero eseguite opere di ampliamento e di modernizzazione. Mi piace ricordare la trasformazione della torre, che divenne merlata non più a piccionaia.
Proseguo la mia visita alla riscoperta di due luoghi che meglio ricordavo: la lunga galleria interna e l’Oratorio, dedicato a Sant’Europia, annesso al Castello per il culto privato e, in epoca meno recente, anche per quello pubblico. La galleria lunga ventidue metri, ha un soffitto ligneo decorato con motivi geometrici e un fregio parietale che intercala gli stemmi Odescalchi a dipinti che raffigurano i possedimenti della famiglia o che ricordano i fasti della stessa, come il Castel Sant’Angelo a Roma per celebrare il pontificato di Innocenzo XI Odescalchi. Una festa da ballo – diventata ormai mitica nei miei ricordi – si svolse proprio in questa galleria: era l’anno in cui Modugno col suo “Nel blu dipinto di blu” aveva a Sanremo rivoluzionato la canzone italiana. L’interno dell’Oratorio è davvero molto interessante. Accanto all’altare sovrastato da una pala raffigurante l’Assunta, un gruppo scultoreo, eseguito da un Vela di Ligornetto, che rappresenta Luigia Odescalchi Parravicini, che tiene in mano un medaglione con le effigi del padre Tommaso e del marito a lei premorto. Inginocchiata è Elisa Bottacin, sua figlia adottiva, in atto di preghiera. Due lapidi: una in cui Luigia ricorda il padre Tommaso “di virtù domestiche civili e religiose esempio splendidissimo” 1844 e l’altra dedicata a Luigia da Elisa “figlia di adozione”.
Dal gelo dell’Oratorio alla vita nel parco
Fa freddo nella chiesina sempre chiusa: raramente viene aperta e in occasione di cerimonie familiari, matrimoni o battesimi. Vi si respira un’aria di antico, mescolata ad un vago sentore di umidità e di polvere. Uscendo dalla penombra del luogo sacro che ha visto tante vite in un passato lontano, vite di privilegio alcune, vite umili altre – l’Oratorio era aperto anche al culto pubblico, come dicevo – mi sono sentita acutamente investire dalla bellezza del luogo, del parco sfavillante di luce, dei verdi intensi risciacquati dalla pioggia recente.
È una culla quella in cui sorge Castel Carnasino. Da una parte la collina intatta che ha solo una ferita: il grande ponte dell’ autostrada Milano Chiasso. Dal lato opposto alberi secolari, magnolie, palme, ippocastani, querce formano un grande schermo protettivo. Di fronte alla dimora scorci di panorama che fanno intravedere il lago e la città, ritagliati tra la fitta vegetazione. In mezzo alle piante altissime, un acero giapponese dalla chioma intensamente fulva: ed è con questa fiammata negli occhi che lascio il luogo magico, vera isola a Monte Olimpino.
di Livia Porta maggio 2012