La prima password della mia vita, di un account Hotmail, fu spiata e scoperta d’estate, da un fidanzato che sentiva l’urgenza di leggere la mia posta. Il fidanzamento finì nelle ore successive, ma prima telefonai in lacrime a mia sorella, a casa per preparare la maturità, e la pregai di cambiare quella maledetta password (non esisteva internet sui telefoni cellulari). Lo fece subito, mettendoci la parolaccia che uso tuttora, quindici anni dopo.
E’ l’unica password che non scorderò mai, per tutte le altre devo continuamente cliccare su “password dimenticata”, aspettare una mail, inventare una nuova password con numeri e maiuscole che dimenticherò nel giro di quattro minuti, oppure devo rispondere a domande di sicurezza come: il nome della tua bisnonna da nubile, che probabilmente avevo scelto io come domanda di cui conoscevo sicuramente la risposta, ma adesso mi manda in totale confusione. Telefono a mia madre: come si chiamava la mia bisnonna da nubile? Lei non se lo ricorda, la accuso di non tenere alla famiglia, litighiamo. Il nome del mio primo gatto? Ma proprio il mio o il primo gatto in assoluto che ho conosciuto? Il mio colore preferito? Non lo so, che domanda idiota.
Ho scoperto da poco il trucco: rispondere a tutte le domande di sicurezza allo stesso modo. Il nome del tuo gatto? Cravatta. Il tuo film preferito? Cravatta. Il tuo primo fidanzato? Cravatta. Ma non basta ricordarsi la parola cravatta, perché le password si moltiplicano a ogni acquisto online, a ogni desiderio, a ogni doverosa registrazione, e bisogna aggiungere numeri, maiuscole, e ogni volta lampeggia un severo avviso sull’insufficiente sicurezza della combinazione scelta.
Ma chi potrà mai scoprire che la mia password di Amazon è annal8enA7, se nemmeno io lo so perché è impossibile ricordarla? Una volta ho creato un file dove mettere tutte le password di qualunque cosa, sentendomi furbissima, ma l’ho messo in una cartella invisibile che richiedeva la password, e per ritrovare questa cartella dovrei ricordare la password, ho provato: cravatta, ma non succede niente.
Adesso c’è una buona notizia, scrive il Wall Street Journal: le password stanno per diventare obsolete, irrilevanti, superate. Moriranno. Google sta lavorando a un nuovo protocollo ancora senza nome che annulla la necessità di ricordarsi la data di nascita del gatto con in maiuscolo la marca dei suoi croccantini preferiti.
Entreremo in tutti i siti, useremo tutti gli abbonamenti, pagheremo i contributi, compreremo libri, vestiti e mutandine di chiffon, nasconderemo i messaggi segreti solo con l’aiuto del nostro telefono (smartphone). Il fatto di possederlo, di avere un numero di telefono assegnato soltanto a noi è già la prova che non siamo impostori, che possiamo leggere la nostra posta elettronica. Invece di una cosa che conserviamo nella testa (la password iniziale, pura, quella che ingenuamente credevamo avremmo usato sempre per tutto, e i suoi diabolici e complicatissimi derivati) useremo una cosa che teniamo sempre in tasca, o in mano, o a cui dormiamo abbracciati: il telefono. Ci arriverà un codice via sms, o su una app., useremo quello, saremo liberi di dimenticare il soprannome del cane dello zio, che è pure insopportabile.
E se ci rubano il telefono, se lo perdiamo, se ci viene sottratto mentre facciamo la doccia? Sarà la fine, e l’unico in grado di salvarci sarà il fratello sopravvissuto della password, il pin.
di Annalena Benini da IL FOGLIO quotidiano